Con l'iniziale assistenza degli operatori ASSEFA gli abitanti del villaggio individuano delle priorità, e queste vengono finanziate con microcrediti
Incontriamo
la Presidente di ASSEFA-GENOVA, Avv. Itala Ricaldone, per parlare
dell’esperienza di ASSEFA in India nel campo del microcredito e dello
sviluppo delle comunità rurali locali nel solco del messaggio di Gandhi
in occasione dei 40 anni dell’Associazione.
ASSEFA
è nata alla fine degli anni '60 dall’idea di un italiano, il Prof.
Giovanni Ermiglia di Sanremo. Ci può raccontare brevemente cosa
successe?
ASSEFA
è nata su un terreno già “arato” dal discepolo di Gandhi Vinoba Bhave,
che aveva avuto l’idea di chiedere ai proprietari terrieri il dono di
qualche appezzamento di terra per aiutare i contadini nullatenenti.
Vinoba riuscì a mettere insieme 4.200.000 acri di terreno (quanto la
superficie della Regione Veneto). I contadini assegnatari dei lotti
boodhan (terra-dono) risultarono, però, essere troppo poveri per
coltivare quei terreni incolti per anni prima di arrivare ad un
ipotetico raccolto. Nel 1968, ormai già vicino alla pensione, Giovanni
Ermiglia ebbe l’idea di offrire ad un piccolo gruppo di assegnatari di
Sevalur (Tamil Nadu) una somma sufficiente per liberarsi dal debito, che
li teneva quasi schiavi del latifondista, e per avere il tempo e il
modo di lavorare il terreno loro assegnato fino ad arrivare al raccolto.
Si trattava di un microcredito, quando nessuno ne parlava ancora.
L’idea più feconda fu quella di chiedere la restituzione del prestito
non a proprio favore, ma a favore di altri assegnatari, dando così vita
ad una spirale di sviluppo che ha continuato ad allargarsi. Non fu
facile: i contadini assegnatari risposero “No: quel terreno non renderà
mai nulla!” e solo dopo parecchia insistenza, per pietà verso quel
signore che voleva aiutarli e veniva da lontano, si decisero ad
accettare.
Come si è sviluppata in questi 40 anni e quali sono le attività di ASSEFA oggi in India?
L’idea
di Giovanni non avrebbe avuto lo sviluppo attuale se non vi si fosse
impegnato un giovane universitario di Madurai, Loganathan, che coinvolse
altri giovani gandhiani per suggerire ai contadini i metodi migliori
per coltivare quei terreni. Nel giro di due anni l’area era verdissima
ed Ermiglia, tornato carico di dubbi a vedere che cosa fosse successo,
rimase letteralmente “a bocca aperta”, come amava ricordare.
L’esperimento era riuscito e poteva quindi essere replicato, per cui si
cominciò subito a lavorare per aiutare altri assegnatari.
Contemporaneamente, però, Giovanni e gli indiani, che si erano
impegnati, sperimentavano e progettavano. ASSEFA non è un progetto nato a
tavolino, è esperienza vissuta, lavoro e intelligenza. È attuazione
delle idee di Gandhi per creare comunità. Comunità di contadini che
lavorano insieme i terreni, poi comunità della gente di villaggi,
apatica e diffidente: all’inizio occorrevano circa tre anni per riuscire
a formare una riunione degli abitanti di poverissimi villaggi o gruppi
di capanne. Poi con la presenza nello staff di una donna, Vasantha, nel
1978 è partito il progetto educativo per i bambini. Anche per loro la
priorità era ed è formare comunità di scuola, perché imparino subito
responsabilità, democrazia e nonviolenza. Ora è più veloce l’inserimento
di nuovi villaggi, perché sono questi a chiedere di partecipare,
vedendo la riuscita dei loro vicini. Così, al marzo 2008, i villaggi
ASSEFA erano 9.766. Ora certamente hanno superato i 10.000. Vale la pena
ricordare che l’attenzione dei dirigenti è olistica, vale a dire che
tutte le esigenze primarie delle famiglie vengono prese in
considerazione: l’agricoltura, l’artigianato, l’educazione, il
commercio, la promozione delle donne, la sanità, l’ambiente, il rispetto
delle religioni, la nonviolenza… Tutto è portato avanti con mezzi
poverissimi, pensato, sperimentato e documentato. La tecnologia è
inserita soltanto laddove allarga le possibilità di lavoro e di
comunicazione e non crea dipendenza. Per esempio un trattore darebbe
lavoro ad un contadino e centinaia di altri resterebbero disoccupati,
per non parlare del costo dei pezzi di ricambio, mentre una pompa, che
tragga l’acqua da un pozzo, dà possibilità di bonificare terreni che
sarebbero aridi o semiaridi, da cui invece molti contadini possono
trarre sostentamento. Gli impianti di lavorazione del latte rendono
possibile il progetto caseario (di cui fa parte quello che intendiamo
sostenere per la produzione del burro a Uchapatty) per migliaia di
donne.
Parliamo
di microcredito come volano nello sviluppo delle zone rurali indiane.
Ci può raccontare come funziona nella realtà locale?
Il
microcredito è, si può dire, il motore delle varie linee di sviluppo.
Con l’iniziale assistenza degli operatori ASSEFA gli abitanti del
villaggio individuano delle priorità e queste vengono finanziate con
microcrediti. A mano a mano che questi vengono restituiti, c’è la
possibilità di ampliare i progetti. L’ambito, però, in cui il
microcredito trova la sua maggiore efficacia, è quello della promozione
di genere. Le donne, che sono considerate una disgrazia quando nascono,
perché saranno motivo di impoverimento della famiglia per via
dell’usanza della dote, si sono rivelate capaci e affidabili, più degli
uomini. Formare gruppi di donne, abituate all’isolamento e
all’emarginazione, è stato un lungo lavoro. Inizialmente è stato un modo
per poter parlare di fondamentali principi di igiene e di puericultura,
ma poi è stato appunto sperimentato il microcredito al gruppo. Il che
richiede un notevole progresso culturale, perché tutto deve essere
registrato: riunioni, risparmi, prestiti, restituzioni. Per le donne è
stata creata una filiera finanziaria mediante la quale sono diventate
azioniste di una banca, la Sarvodaya Nano Finance Limited (SNF). Nel
Convegno di otto giorni in occasione dei 40 anni di ASSEFA, che si è
tenuto a Madurai nello scorso settembre, il Direttore organizzativo
della SNF ha parlato di 73.000 gruppi di auto-aiuto, Self Help Groups,
prevalentemente femminili.
La
visione gandhiana del villaggio autosufficiente e dei suoi abitanti,
Cittadini rispettosi della Natura e della Democrazia, può essere
rivisitata e utilizzata oggi in un momento nel quale bisogna reinventare
le regole economiche e sociali, a seguito della crisi mondiale che
stiamo tutti vivendo?
Forse
il villaggio non può più essere autosufficiente come era prima della
colonizzazione inglese, ma l’integrazione tra villaggi, riuniti a
centinaia a livello di Block, permette lo scambio tra vicini, col
massimo ricavo e la minima spesa. ASSEFA ha creato per questo anche
appositi mercati. Questa integrazione permette, inoltre, di evitare le
monocolture con i rischi connessi e mantiene la diversificazione dei
prodotti, rispettando così la varietà dei semi. Sono valori che stiamo
scoprendo oggi con la crisi della globalizzazione. Certamente sarebbe
bello importare i principi che regolano lo sviluppo dei villaggi ASSEFA:
assemblee in cui tutti cercano il bene comune, disposti a sacrificare
qualcosa per raggiungere un consenso condiviso, senza minoranze. Penso
che qui da noi sia un’utopia irrealizzabile in questi termini, ma
qualcosa potrebbe essere fatto specie nelle scuole.
Per
avere dei Cittadini rispettosi della Natura e della Democrazia la
scuola deve assolvere al proprio ruolo di educatrice. Tra i progetti
ASSEFA c'è anche quello scolastico: com'è nato e come si sta
sviluppando?
Appunto
nelle scuole, a partire dalle materne, si può impostare un’educazione
sociale, prima che la diseducazione che offriamo ai ragazzi prenda
piede. È, anzi, urgente insegnare loro a considerare la propria opinione
migliorabile nel confronto con le opinioni degli altri e che la
convivenza richiede un qualche sacrificio delle proprie aspettative.
Oggi è, però, più facile che si possa far capire la necessità del
rispetto per l’ambiente, dell’agricoltura ecologica e dell’amore per gli
animali. Tutto questo è presente nelle scuole ASSEFA. L’avvio del
programma educativo e la pedagogia è dovuta alla sensibilità ed
all’intelligenza di Vasantha, che nel 1978 lo iniziò chiedendo ad una
trentina di madri di bambini in età scolare di risparmiare una ciotola
di riso per l’alimentazione della maestra, maestra che fu lei stessa per
diversi mesi nello sperduto villaggio di Vadugapatty (Tamil Nadu). Da
lì si è esteso un progetto educativo che ha visto la creazione di
migliaia di scuole di ogni ordine e grado, esclusa solo l’università. Il
sostegno a distanza, che migliaia di italiani tramite ASSEFA-ITALIA
hanno attivato con la modesta somma di € 150 all’anno, serve soprattutto
per l’istruzione primaria.
Una
delle caratteristiche di ASSEFA Italia è quella di non imporre mai
scelte preconcette, ma di seguire i bisogni dei destinatari degli aiuti
di cui si fa carico. Ascoltare e collaborare: potrebbero essere le due
parole chiave del lavoro di ASSEFA?
Ascoltare
e collaborare certamente sono due parole chiave per ASSEFA-ITALIA, ma
per ASSEFA in India occorre anche aggiungere: suggerire, prevedere,
organizzare. Il tutto in spirito di servizio. L’acrostico ASSEFA deriva
dalle parole: Association Sarva Seva Farms, dove le parole indiane Sarva
Seva significano “al servizio di tutti”. Chi è stato a visitare i
progetti, ha potuto ammirare la completa disponibilità di Loganathan e
Vasantha, degli insegnanti che vivono nei villaggi e collaborano anche
con la popolazione, degli autisti e dello staff in generale.
Spese
ridotte al minimo e bilanci trasparenti: è questo il motivo della
fiducia e fedeltà dei vostri associati ed occasionali benefattori?
Sì,
riforme a costo zero: come quella sanitaria, basata sulla
responsabilizzazione già a scuola dei bambini, i kutty doctors “piccoli
dottori”; di operatori sanitari nei villaggi, che estendono e rendono
efficace l’opera dei medici, i quali raramente sono a completo servizio,
come lo è invece la D.ssa Rani, che da un piccolo presidio di scuola di
medicina e pronto soccorso a Gingee ha esteso la competenza alla zona
costiera, colpita dallo Tsunami del 2004 nello stato di Pondicherry. Relazioni
annuali, dichiarazioni dei revisori dei conti, che in India sono
responsabili in proprio delle loro verifiche, nostre visite ai bambini
“adottati a distanza” e ai progetti finanziati sono tutte forme che
sostengono la fiducia degli amici italiani. Raccomandiamo, appunto, ai
nostri collaboratori di vivere questi rapporti come amicizia e non come
beneficenza, perché se riflettiamo su quanto si riceve, in termini di
amicizia, di ideali e di proposta, constatiamo che dovremmo essere noi
riconoscenti. Non è raro che, chi va in India a vedere il lavoro che là
si compie, esprima questa riconoscenza, dichiarando di aver ricevuto
molto più di quanto ha dato.
Alda Benazzi
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