La Psiconeuroanalisi alla luce della Kabbalah
a cura di Shazarahel
opera The Other Room dell’artista Sam Winston
Il Dott. Dore
è il fondatore della geniale teoria chiamata Psiconeuroanalisi, la cui
applicazione terapeutica permette la graduale guarigione dal morbo di
alztailer e da altre demenze cerebrali.
Il
cuore di questa nuova teoria, come dimostrato dai risultati clinici
ottenuti, è il rapporto mente-cervello; ossia essa si pone come
dimostrazione scientifica del fatto che la mente psichica esercita un
potere sulla materia cerebrale organica per mezzo della parola.
La
Parola è il vettore capace di trasportare il messaggio razionale e
logico generato dalla mente alla materia cerebrale e di intervenire sul
DNA delle cellule nervose.
Sappiamo
già, dalla psicoanalisi freudiana, come il problema psicologico si
converta spesso in un sintomo somatico. La patologia psichica - spesso
conseguenza di una cattiva interazione fra i due emisferi cerebrali- va
ancora più lontanto, in quanto provoca un vero e proprio danno
funzionale a diverse aree corticali che è possibile ossevare e
quantificare tramite esami appropriati.
La Psiconeuroanalisi interviene sulle patologie psichiche per mezzo dell’uso razionale del linguaggio umano.
La
sede fisica del linguaggio si trova nelle aree cerebrali di Broca e di
Wernicke dell’emisfero sinistro. L’asimmetria cerebrale, scoperta
scientifica relativamente recente, era già conosciuta dai Kabbalisti da
tempo immemorabile, che attribuivano a ciascun emisfero proprietà
specifiche e differenziate. Negli antichi scritti della Kabbalah
ebraica, si parla dell’emisfero sinistro, come della sede
dell’intelligenza razionale, Binah, e del linguaggio, e del cervello destro, come sede della sapienza intuitiva, Hokmah. Nella Kabbalah l’equilibrio e l’armonia nascono dall’integrazione di entrambi i cervelli.
In
conformità con quanto detto dagli antichi Maestri, la psiconeuroanalisi
giunge alla guarigione delle patologie psichiche mediante un
riequilibrio delle attività proprie di ciascun emisfero. Ad esempio, la
cura per l’isteria, che corrisponde ad un’esasperazione delle funzioni
emotive tipiche dell’emisfero destro, consiste nello sviluppo e nel
potenziamento delle funzioni razionali e logiche tipiche dell’emisfero
sinistro.
Questa
operazione avviene mediante l’uso cosciente del linguaggio, inteso come
il vettore capace di trasportare il messaggio della mente al cervello.
In
questo senso, la Psiconeuroanalisi si pone come un’applicazione
terapeutica degli antichi insegnamenti kabbalistici, secondo i quali
tutto ciò che esiste è risultato della Parola: i risultati ottenuti sui
danni organici alla corteccia cerebrali di diversi pazienti, è una
dimostrazione della potenza del linguaggio umano. La parola influisce ed
agisce sulla materia del nostro organismo.
Come dice il Dott. Dore, ogni vocabolo aggiunto è un “attivo frammento cosciente del mondo”.
Il
trattamento Psiconeuroanalitico prevede anche un importante ampliamento
linguistico-lessicale (di solito dieci per ogni incontro, soppesati dal
medico ad ogni seduta secondo il loro intrinseco gradiente
informativo-semantico, che deve essere sempre giustapposto alle capacità
mentali che il paziente presenta, di volta in volta, con il procedere
della terapia), afferenti alle più svariate conoscenze naturali e
umanistiche, e che a ogni successiva seduta vengono, oltre che
interrogati al paziente (il quale è obbligato alla conoscenza sia degli
ultimi termini che di tutti i precedenti), anche ripresi e ampliati dal
medico secondo il modo innovativo che ha offerto questo nuovo
intendimento della realtà.
Altri
due pilastri della Psiconeuroanalisi sono in perfetta conformità al
pensiero kabbalistico: il rapporto parole-numeri e la legge degli
opposti (intesi come destra-sinistra, maschio-femmina).
Il
Dott. Dore, in una lezione della quale riportiamo di seguito alcuni
estratti, spiega in maniera geniale il rapporto che esiste fra il
linguaggio e i numeri, fra le funzioni linguistiche e numeriche, che si
collocano entrambe nella corteccia dell’emisfero sinistro.
Questo
rapporto venne messo in evidenza dalla Kabbalah ebraica fin dalla notte
dei tempi: in effetti la lingua ebraica usa i segni grafici
dell’alfabeto sia come “suoni-lettere”, sia come “cifre-numeri”. Una lettera dunque è allo stesso tempo sia suono che numero.
Tutti
lo sappiamo ormai, anche leggendo le riviste di divulgazione, che un
intero emisfero del cervello è dedicato al linguaggio. Il linguaggio è
la sola lingua, quella che si parla, ma è anche tutto ciò che si usa in
modo metaliguistico per comunicare. L’emisfero sinistro – ma anche il
destro è implicato – lavora perché si possa giungere “all’altro”. Il
linguaggio implica collegamento: ciò vuol dire che un nostro emisfero si
è specializzato per comunicare con il prossimo. Dietro il linguaggio
c’è già l’idea che l’uomo è un essere sociale. Se andiamo a vedere
l’estensione di queste aree dedicate al linguaggio, moduli specifici,
sono molto vaste. Possiamo dire che coprono letteralmente l’intero
emisfero sinistro. Ora nell’emisfero sinistro stesso però ci sono anche
le aree deputate ai numeri, e i numeri hanno una doppia valenza: d’avere
una morfologia che sembri un segno che è riproducibile nel linguaggio.
Perché noi non possiamo definire il numero più grande che esista? Anche
per una questione di confini linguistici. Anche se esistesse il numero
infinito, nessuno potrebbe leggerlo, perché il linguaggio ha la capacità
di significare tale complessità espressa. Ciò significa che fra il
linguaggio e i numeri c’è un rapporto: io, mentre conto, parlo, ma
mentre parlo faccio atto linguistico e mentre faccio un atto linguistico
presento un atto quantitativo.
Vediamo
in che modo l’uomo ha sempre vissuto il rapporto tra la quantità e la
qualità. Perché dico quantità e qualità? Perché il linguaggio è qualità.
Se io dico: “guarda quel lampadario”, non sto dando definizioni
specifiche delle quantità in gioco, ma sto definendo un tutt’uno e
basta, ovvero la qualità del lampadario. In parole più semplici: gli ho
dato un aggettivo e in esso si è chiuso tutto. Se invece usassi lo
strumento quantitativo, dovrei misurare il peso, la lunghezza delle sue
braccia, addirittura dovremmo misurare l’intesità di luce che emettono
le sue lampadine. Inoltre, per parlare del lampadario, ho bisogno prima
di identificarlo col linguaggio, poi di misurarlo (numero). Tra i due
subentra questo tipo di legame.
Qualità
|
Quantità
|
Linguaggio
|
Numero
|
Facciamo
un altro esempio che rende più chiaro il concetto, e cioé, perché è
importante che i due viaggino assieme. Parliamo di un albero. L’albero
ha la sua morfologia. Ora, una volta che l’albero è rappresentato, di
lui conosco la parola. La parola “albero” ha una sua storia; ho definito
l’entità-oggetto in esame completamente, senza bisogno di ulteriori
definizioni. E questo nel mondo dei comunicanti è sufficiente per
orientarsi nel significato. Però se dell’albero apporto un secondo tipo
di rappresentazione, cioè quella quantitativa, posso distinguerlo dagli
altri alberi, perché avrà una certa altezza, una certa grossezza di
tronco, una certa ricchezza di chioma: tutto questo è quantità. Però
notate bene: se non c’è il linguaggio che mi dia il bersaglio “albero”,
la matematica non è applicabile. Quindi la matematica è un atto che
segue obbligatoriamente il linguaggio, che viene dopo il linguaggio. Il
linguaggio identifica il bersaglio, mentre il numero lo raffina
ulteriormente; cioè, entra in esso e si sa che i numeri che si stanno
dando appartengono a quell’oggetto. Senza il linguaggio, non è
applicabile il numero.
Nel
nostro cervello sembra che questo sia risaputo da sempre. Voi direte
che si è sviluppata di più l’area del linguaggio perché abbiamo più
parlato che calcolato. Potremmo dire invece, che la necessità evolutiva
era che si formasse molto linguaggio, perché bisognava conquistarsi
tutta la realtà con la parola, e poca col numero, perché i numeri
fondamentalmente sono pochi da manipolare diventano complessi solo
all’interno della “letterazione”. Il poter racchiudere il significato
del mondo all’interno del linguaggio, ha preteso una vastità di
estensione corticale sufficiente a parlare di tutto, o comunque tutto
ciò che noi vogliamo denominare perché abbiamo una grande
rappresentazione linguistica. Una volta che sai rappresentarti la cosa
linguisticamente, puoi applicare poi l’atto numerico; ma l’atto numerico
è in ogni cosa che tu misuri, letteralmente sempre la stessa cosa. È un
rituale fisso, invece l’atto linguistico è un rituale elastico,
dinamico.
Vedete
come fra i due c’è un rapporto di chiave e serratura. La chiave è il
linguaggio, la matematica è la serratura (se non ti fa capire
l’ingranaggio, a livello analitico, di ciò che però tu hai già
bersagliato, già identificato). Di conseguenza, un forte linguaggio, è
già un precursore di una forte capacità matematica. Perché se uno ha
poco linguaggio, poche cose può rappresentarsi, e praticamente poche
cose può conoscere (deduzione logica). Ecco perché noi (impeghiamo) la
parola Logos che vuol dire “linguaggio razionale”; è come dire quasi un
“linguaggio matematico”.
Una
persona straniera che vive in Italia, ad esempio, per contare è
costretta sempre a portare i numeri nella sua lingua originale. Ma si
tratta di un problema di traduzione, in quanto i numeri sono universali;
cioè, al di là della lingua che si parla, la griglia numerica è la
medesima; ecco perché l’equazione è uguale per tutti mentre invece una
parola scritta in una certa lingua non è uguale per tutti. Ciò non
toglie comunque che, una volta che hai identificato con la tua lingua
quell’oggetto di natura, puoi utilizzare i numeri. Se la tua lingua non è
presente, quell’oggetto di natura tu non puoi misurarlo. E quindi tu
hai un vuoto di tipo conoscitivo. Ne va da sé che il linguaggio ha
anticipato lo sviluppo dei numeri, non viceversa.
L’analisi permette il passaggio dalla descrizione qualitativa a alla descrizione quantitativa.
Il
linguaggio anticipa l’atto del misurare. Il numero misura la parola:
una volta che tu lo hai definito con la parola, lo quantifichi, lo
misuri. Ma se non sai cos’è l’albero, se tu non hai il concetto di
albero, cosa misuri?
Se
dunque le aree del cervello sono disposte in quel modo -c’è più
linguaggio e meno numero- è un caso o è una necessità? A livello
neurologico è una necessità. Ecco spiegato perché siamo fatti così.
Quindi la qualità anticipa comunque la quantità. Però il legame è
inverso, perché più forte sei nel linguaggio, più possibilità hai di
sviluppare una forte quantità; c’è un terreno fertile. Mentre non è vero
il contrario. Ora, cosa abbiamo in fin dei conti analizzato senza
rendercene conto? La legge degli opposti. Chi è che non sa che l’opposto
della quantità è la qualità? Quindi gli opposti vanno uniti insieme per
dare un unico effetto.
Abbiamo
dovuto spiegare due livelli: il primo è quello cerebrale, perché il
cervello è organizzato così. Il secondo è il linguaggio: perché ha
questa pregnanza, perché quando anche uno fa calcoli deve per forza
parlare? Anche se leggo un numero, lo dico a parole, e se lo dico a
parole vuol dire che il numero non si è mai liberato dal segnale, non si
è mai liberato dalla qualità. Non è un caso che, nell’Ottocento, c’è
stato tutto un filone speciale della matematica, dove alcuni uomini si
sono riuniti e hanno detto: dato che la matematica in fin dei conti
presenta delle verità logiche, riduciamo tutta la matematica alla
logica. Ma fare questo passaggio vuol dire: “riduciamo tutta la
matematica al linguaggio”, ovviamente al linguaggio coerente. Nel fare
questo, secondo questi logici i numeri -ad esempio il numero 3 e il
numero 5- non hanno più una valenza metafisica, come Pitagora pensava,
ma sono solamente una questione di insiemi. Se dico 3 -che sono 3
oggetti, che possono essere 3 bottiglie, 3 uomini, 3 donne, 3 cappelli,
eccetera- assurgono tutti alla classe del 3. Quindi il 3 esiste perché
c’è la classe del 3. E questa è un’interpretazione. Ma, dai discorsi che
stiamo facendo noi, sulle matrici del cosmo, i numeri non sono nati
così. Anzi sono entità vere che precedono gli insiemi.
Anatomicamente
le aree predisposte alla comprensione del linguaggio, la semantica,
prima ancora dell’espressione sono anteriori e la matematica sono
posteriori, sono anche abbastanza vicine, sono confinanti ma non uguali,
perché se voglio conoscere una cosa, la devo indicare: questo è un
concetto. Per pesare la devo toccare, e quindi per pesarla devo in fin
dei conti manipolarla. Non è un caso che i numeri siano prossimi a dove
sono le dita; ciò significa che il numero nasce dal fatto che l’oggetto
lo incontra, invece il concetto nasce soltanto perché l’oggetto l’ho
visto. Bene? Quindi c’è dalla nascita del concetto qualitativo, un
rapporto molto più elastico, tra il mondo che mi stimola i cinque sensi e
la mente che elabora la sintesi, il concetto. Mentre la matematica è
più un passaggio statico (per) toccare un oggetto. Quindi c’è un senso
più specializzato di altri, questo
proprio a livello di esperienze originarie (che non ha lasciato
traccia) nel nostro cervello, poi sviluppando ovviamente l’astrazione,
la materia è stata svincolata dal peso diretto, ma alle origini era
così.
Nelle
immagini che seguono, vediamo il cervello di un paziente prima e dopo
il trattamento psiconeroanalitico: i risultati clinici ottenuti sulla
corteccia cerebrale sono evidenti.
Nessun commento:
Posta un commento