martedì 25 agosto 2015

Il suono dello Shofar

 Rabbino capo della comunità ebraica di Roma

Beato il popolo che conosce la Terua' (il suono dello Shofar); esso procede, o Signore, alla luce della tua faccia (Salmo LXXXIV,16).

Con questo versetto si apre il testo che viene recitato subito dopo aver ascoltato lo Shofar di Shachrith; poiché un noto teosofo del XVII secolo, Chayim Vital, ammonisce:

E' conveniente e opportuno che il maestro della comunità tenga una predica al pubblico nell'ora in cui si suona lo Shofar per destare il cuore degli addormentati.


Vorrei parlare brevemente del valore che l'ebraismo assegna al suono dello Shofar.
I tre elementi che, secondo il pensiero Talmudico, debbono costituire la preghiera di Musaf dei giorni di Rosh Ha Shana' sono:
 - Malchuyoth (riconoscimento e dichiarazione della sovranita' di D-o sul creato),
- Zichronoth (menzione del ricordo che D-o ha ed ha sempre avuto presente, delle azioni degli uomini in genere, e di Israele e dei suoi personaggi più rappresentativi in specie),
- Shofaroth (funzione e valore del suono dello Shofar).

Come altri precetti della Torah, esso ha sia un valore storico che uno teologico-mistico infatti la prima volta che nel Pentateuco si parla di Shofar è a proposito della rivelazione Sinaica:
In mezzo al fragore dei tuoni, al bagliore dei lampi che precedettero e accompagnarono il grande avvenimento, il popolo ebraico, raccolto ai piedi del monte, udiva il suono dello Shofar che andava facendosi sempre più forte.
Nel Tanach troviamo altri due riferimenti importanti: l'anno giubilare, alla fine di ogni cinquantennio, veniva annunciato nel giorno di Kippur, in tutta la terra di Israele col suono dello Shofar (Lev. XXV-9) e la storia secondo la quale le mura di Gerico caddero e la città fu espugnata da Giosuè, al suono dello Shofar (Gios. VI. 1-12).

Alla luce di questi testi, il suono di esso è da considerarsi come l'eco del Sinai, che opportunamente rievochiamo nel giorno in cui noi, consci e pentiti per aver trasgredito la legge che sul Sinai ci fu data, ci proponiamo di tornare ad essa. Un richiamo e, come generalmente si dice, un incentivo alla penitenza.
Ci richiama anche, dice S. D. Luzzatto la nostra antica esistenza politica, l'esistenza di un popolo che fu nazione e che oggi non vive che in D-o e che cesserà di esistere soltanto se cesserà di credere in D-o. Ognuno vede come attribuire allo Shofar un fine commemorativo della nostra antica esistenza politica: oggi, ripristinato lo stato ebraico, si dimostra una ragione insussistente; nessuno penserebbe, venuto meno tale scopo, di considerarlo un rito sorpassato o superfluo.
Sembra anche ragione troppo meschina quella che si dà dello stesso Luzzatto e da altri semplicisti dell'ebraismo, che il suono dello Shofar fosse stato comandato per porre a pubblica notizia quando ancora non si stampavano calendari, come dice argutamente E. Benamozegh (lettere a S. D. Luzzatto, Livorno 1890; pag. 76), il principio dell'anno.

Da un passo del libro dei Numeri (X, 9) in cui si parla della guerra che il popolo ebraico si trova a dover sostenere contro i nemici che vengano ad assalirlo, apprendiamo che il suono ha virtù propiziatrice sia nel procurare la liberazione dal nemico materiale che nel difendere dal peccato, il nemico spirituale. Se osserviamo anche l'espressione jom zichro'n terua' con cui il giorno di Rosh Ha Shana' viene designato, dobbiamo concludere che non può significare giorno ricordato col suono ma piuttosto giorno del ricordo (d'Israele a D-o) a mezzo del suono.
Perché, a dire il vero, sembrerebbe strano che il testo del Pentateuco non abbia saputo designare un giorno dell'importanza del Rosh Ha Shana', che indicandolo col mezzo che si adoperava per renderlo noto: il giorno che si ricorda col suono.
Il significato, teologico invece, è ampiamente e minuziosamente dichiarato e sviluppato nella legge tradizionale, perché, come si sa, il pentateuco è un manuale di precetti e di storia, non un'opera di religione teorica. La tradizione, infatti, insieme con un numero stragrande di leggi relative alla materia, alla qualità, alla forma dello Shofar, ha un'infinità di disposizioni relative al numero, alla specie, alle modulazioni, ai toni, delle suonate; in ogni tempo sono state scritte preghiere da recitarsi dal Tokea' e dagli ascoltatori, prima, durante e dopo il suono. Non si sarebbe avuta tanta cura, nè si sarebbe circondato di tante cautele la confezione, l'uso e l'emissione della voce di uno strumento che, in altri tempi, fosse stato semplicemente un mezzo di pubblicità ed oggi niente altro che una forma di commemorazione.

I Talmudisti, seguendo il loro sistema abituale di materializzare, per farle meglio comprendere, le cose più spirituali, hanno detto che D-o al suono dello Shofar abbandona il trono della giustizia e va a sedersi su quello della grazia, sostituendo all'attributo della giustizia quello della clemenza.
Lo fa intendere, aggiungono, il Salmo XLVII in cui la frase viene interpretata:

D-o sale sul trono come elohim (giudice), diventa ha shem (clemente) al suono dello Shofar; nel linguaggio filosofico infatti il nome elohim, che significa anche giudice, corrisponde alla Middat Ha Din, l'attributo della giustizia, mentre Ha Shem corrisponde alla Middath Rachamim, l'attributo della grazia.

Con altra espressione teologica hanno detto (Talmud: Rosh Ha Shana' 16b) che lo Shofar ha la virtù di confondere il satan l'avversario accusatore: è come dire di neutralizzare e di annullare le forze malefiche che le nostre trasgressioni alla Torah hanno creato, e che, per il turbamento che hanno prodotto sull'armonia del creato e sul normale andamento dell'universo reclamano una pena.
Neppure l'etimologia del nome Shofar è sfuggita alla penetrazione dei maestri che ci dicono essere un simbolo della efficacia della penitenza: a mezzo dello Shofar D-o dice a Israele:

Convertite in buone le vostre azioni! se voi convertirete in buone le vostre azioni, io diventerò' per voi come lo Shofar: alla maniera stessa che nello Shofar la voce viene immessa da una parte ed esce dall'altra, cosi io mi alzo dal trono della giustizia per andarmi a sedere sul trono della grazia. (Vayqra' Rabba, 29).

Quale è la causa di tanta virtù? ogni nota di Shofar, dice Benamozegh, ha la sua importanza, come ogni atomo della materia è un mistero: come ogni corpo, ha il suo posto e il suo valore nella creazione (Lettere cit. pag.74). Ha un valore proprio, assoluto, ed ha dei rapporti e delle armonie con l'ordine universale e con la natura delle cose (lbid. - pag. 85).

Come affermano i nostri teosofi, il suono dello Shofar ha un valore in sé e per sé, un valore cosmologico, eterno, infinito.
Lo Shofar è infine il simbolo del messia perché destinato ad essere il segnale della resurrezione, della redenzione finale di Israele e delle genti. I vaticini dei profeti concordemente lo proclamano, e perciò i passi più significativi dei loro scritti figurano nel nostro rituale come introduzione al suono.

Dice Isaia (XXVII-13):
Accadrà in quel giorno, che sarà suonato un grande Shofar; verranno allora gli sperduti nel paese di Assiria e i dispersi nella terra di Egitto e si presteranno al signore nel monte santo in Gerusalemme.

E in un altro passo (XVIII-3):
O voi tutti che abitate l'universo e popolate la terra! vi troverete a vedere innalzato il vessillo sui monti e a udire il suono dello Shofar
 
e Zecharia' (IX-14) continua dicendo che
Il signore si manifesterà a loro: i suoi dardi usciranno come il baleno. Il signore D-o suonerà con lo Shofar e si avanzerà in mezzo alle procelle del mezzogiorno.

Lo Shofar è considerato dunque dai profeti, ci sia lecito l'antropomorfismo, come la voce di D-o e dichiarato sacro, per gli usi a cui è servito e per quelli a cui è riservato.

Benamozegh afferma che:
Come al decalogo, che qualcuno considera l'inizio di un nuovo universo per i popoli del mondo, esordì uno Shofar, all'epilogo dell'universo, la resurrezione e il rinnovamento della terra, esordirà un altro Shofar così forte, così divinamente suonato, che avrà' la virtù di svegliare, come dicono le scritture, coloro che dormono nella polvere. (Cinque conferenze sulla Pentecoste; Liv. 1886, pagg. 37-38)

L'uno e l'altro Shofar sono fatti, dicono i dottori, dell'uno e dell'altro corno dell'ariete sostituito ad Isacco (come sacrificio sul Monte Moria'): uno suonò nella rivelazione, l'altro suonerà nella resurrezione, l'uno apre, l'altro chiude la vita morale dell'umanità, o per dir meglio, ne apre uno stadio più eccelso. Le due suonate sono le due espirazioni di D-o, le due emissioni, le due emanazioni del suo spirito infinito, così come le distruzioni, i cataclismi e i finimondi sono le sue inspirazioni. Tale è il valore del suono dello Shofar, parte cospicua del complesso cerimoniale dei due giorni di Rosh Ha Shana'.

L'Albero della Vita

Questa spiegazione che introduce alla conoscenza della kabbalah (in quanto lo studio è molto, molto più approfondito), è a cura 

di Zoila Guzman

L'Albero della Vita costituisce la sintesi dei più noti e importanti insegnamenti della Cabalà. È un diagramma, astratto e simbolico, costituito da dieci entità, chiamate SEFIROT, disposte lungo tre pilastri verticali paralleli: tre a sinistra, tre a destra e quattro nel centro.

Il pilastro centrale si estende al di sopra e al di sotto degli altri due. Le Sefirot corrispondono ad importanti concetti metafisici, a veri e propri livelli all’Interno della Divinità. Inoltre, esse sono anche associate alle situazioni pratiche ed emotive attraversate da ognuno di noi, nella vita quotidiana. Le Sefirot sono dieci principi basilari, riconoscibili nella molteplicità disordinata e complessa della vita umana, capaci di unificarla e darle senso e pienezza. Osservando la figura, noterete che le dieci Sefirot sono collegate da ventidue canali, tre orizzontali, sette verticali e dodici diagonali. Ogni canale corrisponde ad una delle ventidue lettere dell’Alef Beit ebraico.

L'Albero della Vita è il programma secondo il quale si è svolta la creazione dei mondi; è il cammino di discesa lungo la quale le anime e le creature hanno raggiunto la loro forma attuale. Esso è anche il sentiero di risalita, attraverso cui l'intero creato può ritornare al traguardo cui tutto anela: l'unità del "grembo del Creatore", secondo una famosa espressione cabalistica. L"'Albero della Vita" è la "scala di Giacobbe" (vedi Genesi 28), la cui base è appoggiata sulla terra, e la cui cima tocca il cielo. Lungo di essa gli angeli, cioè le molteplici forme di consapevolezza che animano la creazione, salgono e scendono in continuazione. Lungo di essa sale e scende anche la consapevolezza degli esseri umani.

Tramite l’Albero della Vita ci arriva il nutrimento energetico presente nei campi di Luce divina che circondano la creazione. Tale nutrimento scorre e discende lungo la serie dei canali e delle Sefirot, assottigliandosi e suddividendosi, fino a raggiungere le creature, che ne hanno bisogno per sostenersi in vita. Lungo l'Albero della Vita salgono infine le preghiere e i pensieri di coloro che cercano Dio, e che desiderano esplorare reami sempre più vasti e perfetti dell'Essere.



I tre pilastri dell'Albero della Vita corrispondono alle tre vie che ogni essere umano ha davanti: l’Amore (destra), la Forza (sinistra), e la Compassione (centro). Solo la via mediana, chiamata anche "via regale", ha in sé la capacità di unificare gli opposti. Senza il pilastro centrale, l’Albero della Vita diventa quello della conoscenza del bene e del male. I pilastri a destra e a sinistra rappresentano inoltre le due polarità basilari di tutta la realtà: il maschile a destra e il femminile a sinistra, dai quali sgorgano tutte le altre coppie d’opposti presenti nella creazione.

L'insegnamento principale contenuto nella dottrina cabalistica dell'Albero della Vita è quello dell'integrazione delle componenti maschile e femminile, da effettuarsi sia all'interno della consapevolezza umana che nelle relazioni di coppia. Spiegano i cabalisti che il motivo principale per cui Adamo ed Eva si lasciarono ingannare dal serpente fu il fatto che il loro rapporto non era ancora perfetto. Il peccato d’Adamo consisté nell'aver voluto conoscere in profondità la dualità senza aver prima fatto esperienza sufficiente dello stato d’unità Divina, e senza aver portato tale unità all'interno della sua relazione con Eva. Il serpente s’insinuò nella frattura tra i due primi compagni della storia umana, e vi pose il suo veleno mortale.

Dopo il peccato, l'Albero della Vita fu nascosto, per impedire che Adamo, con il male che aveva ormai assorbito, avesse accesso al segreto della vita eterna e, così facendo, rendesse assoluto il principio del male. Adamo ha dovuto far esperienza della morte e della distruzione, poiché lui stesso aveva così scelto. Tramite tali esperienze negative, il suo essere malato si sarebbe potuto liberare dal veleno del serpente, per ridiventare la creatura eterna che Dio aveva concepito. Analogamente, tutte le esperienze tragiche e dolorose, che purtroppo possono succedere durante la vita umana (Dio ci preservi da ciò), sono tuttavia occasioni preziose per rendersi conto della distanza frappostasi tra lo stato ideale, del quale conserviamo una memoria nel super-conscio, e lo stato attuale. Esiste però una via più facile, più piacevole, la quale, pur non eliminando completamente l'amaro della medicina, ci permette già da adesso di assaggiare la gioia e perfezione contenuta nell'Albero della Vita, in misura variabile secondo le capacità di ognuno. Essa consiste nello studio della sapienza esoterica: la Cabalà.

Dopo aver perso lo stato paradisiaco del Giardino dell'Eden, l'umanità non ha più accesso diretto all'Albero della Vita, che rimane l'unica vera risposta ai bisogni d’infinità, di gioia e d’eternità che ci portiamo dentro. Come dice la Bibbia, la via che conduce all'Albero è guardata da una coppia di Cherubini, due Angeli armati di una spada fiammeggiante. Ciò però non significa che la via sia del tutto inaccessibile. Secondo la tradizione orale, i due Cherubini possiedono l'uno un volto maschile e l'altro un volto femminile. Essi rappresentano le due polarità fondamentali dell'esistenza, così come si esprimono sui piani più elevati della consapevolezza. Con il graduale ravvicinamento e riunificazione di tali principi, questi angeli cessano di essere i "Guardiani della soglia", il cui compito consiste nell'allontanare tutti coloro che non hanno il diritto di entrare, e diventano invece i pilastri che sostengono la porta che ci riconduce al Giardino dell'Eden. La loro stessa presenza serve da indicazione e da punto di riferimento per quanti stanno cercando di ritornare a Casa.

Non si tratta però di un lavoro facile. I due Cherubini hanno in mano una spada fiammeggiante a doppio taglio. Tra le molte altre cose, essa simboleggia a distruzione dei due Tempi di Gerusalemme. L'esilio del popolo ebraico è la continuazione dell'esilio d’Adamo. Ognuno di noi, nella vita, deve confrontarsi con questa doppia distruzione, con una doppia caduta (fisica e spirituale, morale e umana), con un doppio nascondersi di Dio. Dice un verso del Deuteronomio (31,18):

"poiché in quel giorno nasconderò doppiamente il Mio volto".

Si tratta di una doppia crisi, sia a livello di vita pratica che di fede interiore, un'iniziazione, attraverso cui dobbiamo passare se vogliamo il merito di ritrovare la strada. Se, dopo l’esperienza ripetuta della sofferenza e dell'esilio, la nostra fede rimane intatta, e il nostro desiderio di Dio e della verità rimane incrollabile, allora ci viene mostrato l'Albero della Vita. Analogamente, subito dopo la distruzione del secondo Tempio, lo Zohar (Libro dello Splendore) fu rivelato al mondo, e con esso venne data la descrizione dell'Albero della Vita. La strada era ritrovata, la via si era riaperta per tutti i ricercatori di Dio nella verità.

Le spade dei Cherubini si trasformano in due coppie di ali incrociate in alto, e insieme definiscono l'arco posto al di sopra del portale d'entrata al giardino dell'Eden: la Cinquantesima Porta della Conoscenza, "la Porta del Signore, attraverso la quale vengono i giusti". Essi diventano così i Cherubini che sovrastavano l'Arca dell'Alleanza, l'uno con un volto maschile, l'altro col volto femminile.

Come detto, l’Albero della Vita è il progetto seguito da Dio per creare il mondo. Le Sefirot sono l'origine d’interi settori dell'esistenza, sia nel mondo fisico sia in quello psicologico, come pure in quello spirituale.


Un esempio di ciò, nel mondo fisico, ci viene dalla struttura stessa del sistema solare. Al suo centro c'è il Sole, che rappresenta la Sefirà chiamata Keter o "Corona", la più alta dell'Albero, dalla quale proviene la luce che riempie e vitalizza tutte le altre. I nove pianeti che gli girano intorno rappresentano le altre nove Sefirot, secondo una semplice corrispondenza lineare, da Mercurio - Chokhmà a Plutone - Malkhut. Nello studiare le caratteristiche di ciascuna di esse è possibile vedere emergere un’inequivocabile similitudine con i tratti astronomici e astrologici posseduti dal pianeta corrispondente. Si noti come la struttura dell'Albero già contenesse posto per i tre pianeti più lontani dal Sole, scoperti solo di recente. Nel caso in cui la scienza rivelasse l'esistenza di un altro pianeta, come alcuni calcoli e ricerche fanno ritenere probabile, esso si collocherà al posto dell'undicesima Sefirà, chiamata Da'at o "Conoscenza", una misteriosa Sefirà che pur avendo un ruolo importantissimo nell'Albero non è tuttavia contata solitamente insieme con le altre.

Nel piano psicologico, le dieci Sefirot sono dieci stati della psiche umana. Il più alto, la Corona, è la condizione, peraltro raramente sperimentata, di totale trasfigurazione nel trascendente. Vi sono poi due tipi diversi di conoscenza intellettuale, corrispondenti alla percezione separata dei due emisferi cerebrali: la prima più artistica e intuitiva, la seconda più logica e razionale. Basterebbe questo dato a confermare l'estrema modernità e scientificità della Cabalà. Altre forme di misticismo prestano più il fianco alle critiche dei razionalisti e degli scettici, che le accusano d’essere vaghe, confuse e arcaiche, frutto d’esperienze e visioni soggettive, in ogni modo contrarie alle verità scientifiche. La Cabalà ha invece anticipato di secoli alcune tra le più importanti scoperte della scienza. Ad esempio, lo Zohar prima, e la dottrina sviluppata dall'Arizal dopo, contengono un'accurata descrizione dei due modi separati di conoscenza presenti nel cervello umano, identificati esattamente l'uno con il cervello destro e l'altro con quello sinistro.

Dopo le prime tre Sefirot vi sono sei stati emotivi della psiche, tre più intimi e tre più rivelati, più vicini all'esperienza fisica. Tutti e sei sono generati dall'opposizione fondamentale tra Chesed (Amore) e Ghevurà (Forza), comprensibili anche come attrazione e repulsione. Infine l'ultima Sefirà, Malkhut (Regno), corrisponde ad uno stato psicologico rivolto soprattutto alle contingenze del mondo fisico e alle sue necessità.

Nel piano più spirituale le dieci Sefirot diventano le "Dieci Potenze dell'Anima", dieci luci o sorgenti d’energia, che aiutano costantemente la crescita di coloro che sanno connettersi con esse, nel loro cammino di ritorno all'Albero della Vita.


Conoscere l'alfabeto ci permette di scrivere, ma conoscere i valori segreti delle lettere ci permette di possedere la "Conoscenza dei Misteri". L'alfabeto ebraico ha, per la speculazione qabbalistica, un valore eminente: esso non è solamente il veicolo di transito di ogni pensiero, ma - ne fa fede la Bibbia - è il pilastro portante sul quale è stato creato l'intero universo.