sabato 31 gennaio 2015

Il viaggio spirituale del sensitivo George Hunt Williamson alla ricerca del Paititi


El viaje espiritual del médium George Hunt Williamson en busca del Paititi
la zona di selva a monte dei petroglifi di Pusharo

All’inizio del 1957 il medium e antropologo statunitense di origine serba George Hunt Williamson (1926-1986), si trovava a Lima, dove conobbe l’esoterico Daniel Ruzo (1900-1991), grande studioso di Marcahuasi, l’altipiano situato a 4000 m.s.l.d.m., indicato come il centro magnetico e gravitazionale del pianeta.
Chi era in realtà G.H. Williamson?
Anche se il suo principale interesse era l’attività di contatto extra-sensoriale con “intelligenze superiori”, si distinse anche come antropologo, esploratore e fondatore della paleo-astronautica, ovvero la disciplina che analizza la possibilità che in passato vi siano state delle visite di alieni nel nostro pianeta. 
A mio parere G.H.Williamson può essere un definito un sensitivo, anche considerando la sua attività ascetica e spirituale in alcuni monasteri situati nelle Ande, durante gli ultimi venti anni della sua vita.

I due studiosi s’intesero subito, probabilmente c’era una percezione di fondo che li legava, ovvero la consapevolezza che anteriormente al diluvio universale (10.000 a.C.) una grande civiltà megalitica si era sviluppata in tutto il pianeta (vedi mio articolo sulle civiltà antidiluviane).
Detta civiltà mondiale aveva in Sud America i suoi centri di conoscenza nelle città megalitiche di Tiwanaku, Sacsayhuamán e Marcahuasi.
Durante il viaggio a Marcahuasi, G.H. Williamson fu colpito dalle fantastiche statue antropomorfe e sentì il caratteristico rumore di fondo, definibile come un ronzio, che si sente anche in altri luoghi magnetici del Sud America come per esempio l’enigmatica Serra del Roncador (che fu visitata negli ultimi anni XX secolo da Neil Armstrong, il primo uomo che mise piede sulla Luna, in un suo pellegrinaggio spirituale).

G.H. Williamson continuò il suo viaggio di scoperta e studio viaggiando verso il Cusco, l’antica capitale degli Incas. Il suo scopo era fare luce sulla possibilità che culture pre-incaiche avessero utilizzato la scrittura.
Durante gli anni 50’ del secolo scorso si pensava che gli Incas e i loro predecessori non conoscessero la scrittura. In effetti negli ultimi anni del XX secolo si è dimostrato che ciò non corrisponde esattamente alla verità: nella regione andina era infatti diffuso (solo tra ristrette cerchie di elite sacerdotali), un tipo di scrittura pittografica chiamato quellca, che fu trovata in alcuni oggetti di estremo valore archeologico come la Fuente Magna, il monolito di Pokotia e la pietra di Oruro.
G.H. Williamson apprese da alcuni capi spirituali quechua che nella giungla del Madre de Dios si trovava un’immensa roccia con degli strani petroglifi che secondo alcuni rappresentavano una forma di arcaica scrittura. Si trattava dei bellissimi petroglifi di Pusharo, divulgati al mondo dal Padre Vicente de Cenitagoya nel 1921. I petroglifi, che furono descritti nuovamente dal ricercatore Jorge Althaus di Cusco nel 1953, e studiati a fondo da Harmut Winkler nel 1957, non sono stati ancora completamente decifrati.
Anche se molti avventurieri li individuano come una probabile mappa che guiderebbe “l’uomo puro di cuore” verso il Paititi, a mio parere sono la rappresentazione simbolica di una specie di “demarcazione territoriale” che antenati degli Arawak intagliarono, intorno al sesto millennio prima di Cristo, nel loro cammino verso l’altopiano andino.

G.H Williamson viaggiò fino all’attuale paesello di Shintuya insieme al suo amico Miguel Acosta di Ayaviri.
Il 10 luglio del 1957 i due viaggiatori giunsero a Pusharo, insieme a due guide Matsiguenkas. Non sappiamo quali furono le conclusioni di G.H. Williamson sugli enigmatici petroglifi di Pusharo, ma è certo che egli sentì qualcosa di particolare in quelle vallate remote.
Le guide Matsiguenkas avvisarono il sensitivo statunitense che era molto pericoloso procedere nella stretta valle oltre i petroglifi, in quanto secondo loro era abitata dai bellicosi Kuga-Pacoris, fortissimi nativi alti circa due metri, conosciuti come “i guardiani del Paititi”.
G.H. Williamson era una persona saggia e decise di non procedere, probabilmente perché si rese conto che un mistero così meraviglioso come il Paititi sarà rivelato in modo naturale e senza forzature, solo a tempo debito.
Altri esploratori invece, come lo statunitense Robert Nichols e i francesi Serge Debru e George Puel, che decisero avanzare oltre Pusharo senza l’aiuto di guide Matsiguenkas, nel 1970, furono effettivamente uccisi dai Kuga Pacoris, proprio perché violarono, senza autorizzazione, un territorio sacro, ancestrale e magico.
G.H. Williamson si ripropose di tornare a cercare il Paititi nel corso della sua esistenza, magari non in modo fisico, ovvero senza pretendere di viaggiarvi con il corpo, ma tentando di percepirne l’essenza con la mente.
In effetti il viaggio personale di G.H. Williamson alla ricerca del Paititi non terminò al suo ritorno al Cusco.
In realtà per il sensitivo esoterico statunitense quella data, quel 10 luglio del 1957, fu solo l’inizio di un lungo viaggio spirituale che lo portò a cercare se stesso e la vera natura dell’essere umano. 

La ricerca esoterica ed archeologica di G.H. Williamson continuò in Europa, nell’anno successivo. Nel 1958 s’incontrò infatti con lo studioso italiano Costantino Cattoi. Quest’ultimo aveva documentato a fondo l’antica città etrusca di Capena, l’arcaica Cosa, nell’Ansedonia e il sito di Lilibeo (oggi Marsala, in Sicilia).
I due studiosi concordarono sul fatto che l’antica civiltà megalitica antidiluviana si era sviluppata in tutto il pianeta e in particolare dal Medio Oriente fino all’altipiano andino. L’osservazione e lo studio delle antiche città tirreniche, sarde e pelasgiche, comparate alle città megalitiche andine sopraccitate, e la constatazione che in detti siti archeologici si percepisce (anche con strumenti scientifici), un elevata attività magnetica, proprio come a Marcahuasi, portò i due ricercatori alla conclusione che la civiltà tirrenica-pelasgica-sarda doveva avere avuto dei rapporti con la civiltà megalitica americana, che si sviluppò posteriormente al diluvio. 

Ecco come G.H. Williamson spiega le scoperte di Costantino Cattoi, nel suo libro Road in the Sky:
Recentemente ho ricevuto lettere da Roma che rivestono un’estrema importanza in relazione alle scoperte di Marcahuasi. Il professor Costantino Cattoi e sua moglie, Maria Mataloni Cattoi, entrambi ricercatori, scienziati ed archeologi, scrivono di aver scoperto in alcune zone una strana concentrazione sotterranea d’energia elettro-magnetica. Inoltre essi hanno scoperto che, dove esiste una tal energia, si trovano figure gigantesche simili a quelle di Marcahuasi. Egli ha studiato e fotografato centinaia di figure simili per oltre 40 anni ed ha scoperto leoni, dragoni e persino ciclopi con un occhio solo. Di nuovo ci ricordiamo di Marcahuasi e della razza degli antenati a sud del lago Titicaca. 

Di ritorno negli Stati Uniti G.H. Williamson iniziò uno dei periodi più intensi della sua vita dal punto di vista della ricerca archeologica e spirituale.
Ebbe contatti con H.L.Cayce, il figlio di Edgar Cayce, dal quale ricevette alcuni documenti riservati del grande medium che si riferivano al passato occulto dei primi popoli del Sud America e dei loro rapporti con gli altri popoli della Terra. Viaggiò quindi in Giappone dove studiò a fondo la cultura Jomon, e nello Yucatan, dove studiò la civiltà Maya e documentò delle camere cerimoniali sotterranee nel sito di Loltun (la cosiddetta caverna del fiore di pietra). Nel 1962 G.H. Willimson e il professor Vicente Vasquez, scoprirono la caverna di Kukikan, dove furono trovate evidenze di contatti tra gli antenati dei Maya e i popoli indigeni del Sud Est degli attuali Stati Uniti.
A questo punto G.H. Williamson cambiò il suo nome in Michel D’Obrenovic Obilic Von Lazar (nome della sua famiglia d’origine, uno dei casati reali serbi del XIX secolo), e iniziò a frequentare un monastero situato in una remota valle nelle Ande, nel nord del lago Titicaca. 

Tornò varie volte negli Stati Uniti e continuò la sua attività di ricercatore, studioso d’antiche civiltà antidiluviane e contattista. Si è speculato molto sugli ultimi anni di vita di G.H. Williamson e sui motivi che lo portarono ad isolarsi nelle montagne andine, avvicinandosi ad uno stile di vita quasi ascetico, dove si dedicava al contatto con “intelligenze superiori” per mezzo di "canalizzazione vocale di natura telepatica” (dal suo libro Secret of Andes).
Probabilmente il suo viaggio ai petroglifi di Pusharo lo aveva colpito molto.
G.H. Williamson era convito che alcune di queste “intelligenze superiori”, con le quali aveva avuto dei contatti telepatici, denominate in spagnolo “la hermandad blanca” (la fratellanza bianca), si fossero rifugiate nel Paititi, sia per tramandare le tradizioni antiche che per difenderlo da eventuali attacchi d’intrusi. 

Per G.H Williamson il Paititi era molto di più di un luogo fisico. Era inoltre consapevole del fatto che solo quando i tempi saranno maturi l’uomo potrà conoscere appieno ogni suo segreto più nascosto.
G.H. Williamson era poi pienamente convinto che la nostra attuale civiltà si è sviluppata molto male, e che solo dopo innumerevoli tragedie e indicibili sofferenze si potrà tornare a quell’età dell’oro, dove regnerà l’equilibrio tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi presenti sul pianeta Terra.

YURI LEVERATTO

Copyright 2010
E’ possibile riprodurre questo articolo indicando chiaramente il nome dell’autore e linkando la fonte www.yurileveratto.com

venerdì 30 gennaio 2015

Lo Shabbat della canzone



28.01.2015 - Concetti Kabbalistici - di Michael Berg

Lo Shabbat di questa settimana è molto importante; è quello che, nei Centri Kabbalah, chiamiamo lo Shabbat dei 72 nomi di Dio. Tuttavia, si dice che i Kabbalisti chiamano questo Shabbat ''Shira'', lo Shabbat della Canzone.

Un bel po' di cose importanti si sono verificate in questo Shabbat:
la rivelazione dei 72 nomi,
il grande miracolo della divisione del Mar Rosso,
la canzone che gli Israeliti cantarono dopo la scissione del Mare,
la manna,
la lotta contro Amalek, o il dubbio e la negatività.

Di questi, sembrerebbe che il canto sia il meno importante; ma, i Kabbalisti hanno scelto di chiamare questo Shabbat, Shira. Perché?
Il Rav ha sempre spiegato che ci sono due realtà ovunque, in ogni momento. C'è la realtà dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male, dove, purtroppo, è la maggior parte di noi. In quella realtà, a volte sperimentiamo le cose buone, e qualche volta sperimentiamo cose cattive. Ma nello stesso momento esatto, c'è anche un altro livello, la vera realtà, chiamato Etz Chaim, l'Albero della Vita. La vera realtà dove c'è solo il bene. Noi, con la nostra coscienza ridotta, ancora viviamo nel regno dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male, e vediamo solo quel mondo.

In ultima analisi, lo scopo del lavoro che facciamo è quello di portare il mondo alla vera coscienza dell'Albero della Vita. Il lavoro che facciamo, l'elevazione spirituale che speriamo di raggiungere, è finalizzata a portarci a quella coscienza. Se siamo stati in grado oggi di guardare a questo mondo, e vedere solo la bontà, sarebbe la fine, sarebbe Gemar HaTikun. Ma poiché siamo ancora nel giudizio, non siamo in grado di penetrare il velo di oscurità dell'Albero della Conoscenza Bene e del Male, e non vediamo la realtà di Etz Chaim.
Quindi lo scopo del nostro lavoro, in realtà, non è quello di diventare persone spirituali. Non è altro che fare ciò che ci permetterà di avere la coscienza dell'Albero della Vita, la coscienza che tutto è buono. Tutto il lavoro che facciamo, tutte le connessioni che facciamo, servono solo a prepararci ad essere in grado di avere questa coscienza.

La coscienza chiamata Shira, canzone.
Naturalmente questa canzone non si riferisce semplicemente ad una bella canzone. Rappresenta l'unità; si dice nel Midrash che quando gli Israeliti cantarono al mare, le parole non vennero fuori dalla propria mente. In quel momento, tutta la natura è stata unificata, ed è divenuta uno, in questa coscienza. Pertanto, la rivelazione dei 72 nomi di Dio, il grande miracolo del frazionamento del Mare, non era quello che era importante. La rivelazione dei 72 nomi e la scissione del Mare è accaduta per consentire loro di avere la coscienza di Etz Chaim.

Pensate per un momento: l'unica ragione per cui i 72 nomi sono stati rivelati a Mosè, l'unica ragione della scissione del Mare Rosso, è stato quella di portare gli Israeliti alla coscienza dell'Albero della Vita.

Si dice nel Midrash che, nella canzone, gli Israeliti dicevano Hashem Yimloch, "il Creatore regnerà", ma che, se avessero detto Hashem Melech, che significa che questa coscienza poteva rimanere per sempre, sarebbe tutto finito lì.
Cosa significa questo?
I 72 nomi sono stati rivelati a loro, la scissione del Mare si è verificata per loro, e loro si elevarono al punto in cui dissero, "Io posso guardare questo mondo e ho la coscienza di Etz Chaim. Io credo in me stesso che posso vedere solo la bontà in questo mondo". Ma anche a quel punto ancora non credevano che potesse essere per sempre. E poiché dissero Hashem Yimloch - che significa, questo è incredibile, vediamo che siamo alla fine, - ma ancora non credevano che avrebbero potuto portare la fine proprio allora, e che non sarebbe stato per sempre.

Così, la nostra prima comprensione è che, questo è il motivo per cui i Kabbalisti lo chiamano Shabbat Shira; perché lo scopo di questo Shabbat è la coscienza. Non c'è altro Shabbat dell'anno in cui si rivela la coscienza -non il lavoro verso la coscienza, ma la coscienza stessa- di bilah HaMavet LaNetzach, la rimozione della morte per sempre. La coscienza di Shira, l'unità del mondo, è stato rivelata solo in questo Shabbat. La coscienza di Etz Chaim è stato rivelata solo in questo Shabbat. Pertanto, il dono di questo Shabbat è quello di collegarci a questa coscienza, e, come tale, è uno degli Shabbat dove non si può davvero parlare, non si può davvero spiegare, è uno Shabbat in cui si deve solo sperimentare.

Lo Zohar, in questa porzione, ci fa capire di stare molto attenti al nostro parlare; anche nel parlare spirituale e nel nostro lavoro spirituale, perché questo è lo Shabbat in cui si sta in silenzio. Proprio come poi fecero gli Israeliti, in questo Shabbat, ognuno di noi può sperimentare la coscienza Etz Chaim. Non è qualcosa da capire, da spiegare, o che può essere raggiunta con le nostre preghiere e lo studio. Se stiamo in silenzio, come dice lo Zohar, allora possiamo davvero sperimentare questo meraviglioso dono che non ci è dato in nessun'altro Shabbat. Ognuno di noi, in questo Shabbat, può finalmente gustare la coscienza dell'Albero Vita.
Ma dobbiamo anche credere che siamo in grado di connetterci ad esso.

Si dice nel Midrash, e lo afferma il Rashi, che dopo il miracolo della divisione del Mar Rosso, gli Israeliti risvegliarono nel loro cuore il desiderio di dire la canzone. Ciò significa che, dopo quel tremendo miracolo, avevano da fare una scelta: dobbiamo credere in noi stessi di poter raggiungere la coscienza Etz Chaim? 
Avrebbero potuto dire no. 
Avrebbero potuto essere grati al Creatore per il miracolo e fermarsi lì. Ma non l'hanno fatto, perché credevano di poter raggiungere quella coscienza, perché credevano che potevano raggiungere il livello di Shira. E, di conseguenza, l'hanno rivelata, anche per se stessi.

Quindi è molto importante che, oltre ad avere una comprensione del dono di questo Shabbat, abbiamo bisogno di credere in noi e, che possiamo raggiungerla. Sarà così possibile avere l'opportunità di ringraziare dopo il miracolo, ma Shira non significa rendere grazie. Rappresenta il passo successivo in cui è detto, "Io credo che posso portare me stesso, proprio adesso. Per connettermi a Shira, per collegarmi, veramente, alla coscienza Etz Chaim" E poichè credettero di poterlo fare, risvegliarono quella Luce per se stessi e per il mondo. Aprirono la porta per la Redenzione Finale.

Questo Shabbat è un'opportunità incredibile in cui si aprono le porte dell'Albero della Vita. Non possiamo parlarne, non possiamo nemmeno pensarci ... dobbiamo semplicemente connetterci ad esso.
E' uno Shabbat, non so se usare la parola emozione, o sentimento, ma è questo, e dobbiamo credere davvero che possiamo farlo da soli. In questo Shabbat, dobbiamo accettare, come fecero gli Israeliti, che siamo in grado di elevare noi stessi e il resto del mondo a quel livello.

Nel Midrash si dice che quì impariamo che lo scopo del Messia e lo scopo della nostra generazione è quello di elevare noi stessi e il mondo.
Lo Shabbat dove facciamo questa scelta, è questo, Shabbat Shira, con la porzione di Beshalach.
Questo è lo Shabbat per l'elevazione della nostra coscienza e del mondo.
È un'opportunità incredibile che spero tutti noi possiamo veramente cogliere.

mercoledì 21 gennaio 2015

La luce e l’oscurità: libertà e attaccamento


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Arjuna, giunto nel campo di battaglia per sbaragliare i Kurava, si trova a combattere contro se stesso. Non ha avuto neanche il tempo di sorprendersi, l’agguato architettato delle forze distruttive non gli ha lasciato vie di fuga.
Dopo essere stato condotto da Krishna tra i due eserciti nemici, incontra ciò che alberga nel suo animo ed è subito scontro.
Si accende una battaglia sordida, giocata su dei terreni diversi da quelli abituali, dove l’avversario si nasconde nell’ombra, in quanto è l’ombra della luce.
Il discepolo è condotto dall’anima ad esplorare nuovi spazi della coscienza che spesso si rivelano infidi e paludosi. Ogni tratto di strada è presidiato da un guardiano che ne impedisce il passaggio nei modi più diversi.
Le armi che abbattono quei neri custodi vanno cercate nell’animo e rispondono alle qualità più elevate dell’essere umano.
Dedizione, compassione, intelligenza, volontà, fermezza, determinazione, simpatia, tenerezza e amicizia sono le frecce da scagliare contro il nemico da vincere.

Per accedere al sentiero spirituale è necessario confrontarsi con il burattinaio che tende le fila della coscienza. Ad occhi inesperti sfuggono quelle ombre che rapiscono il sorriso e calano un panno nero sulla percezione. Così l’essere umano si ritrova solo e arrabbiato, prigioniero dell’oscurità e soprattutto senza rendersi conto di essere alla mercé dell’oscurità. Mentre quando combatteva contro la tirannia degli uomini, pur tra mille difficoltà, si sentiva a posto, dalla parte giusta. Invece il terreno su cui si muove l’aspirante spirituale mostra il vero volto soltanto quando il passo è stato compiuto.
Prima l’incertezza regna sovrana, il nemico può essere nascosto in ogni crepa del terreno o nelle frasche di un albero. Allora il discepolo, passo dopo passo, deve acquisire un nuovo equilibrio che gli permetta di procedere in avanti, ma soprattutto lo renda di nuovo pronto a parare eventuali attacchi.

Nell’animo di Arjuna la guerra per la gioia è iniziata tanto tempo prima, ma adesso non è più possibile ignorarla.
Come il discepolo tenta di liberarsi dai lacci del pensiero greve affidandosi al Maestro, il Pandava cerca la via di salvezza nella vicinanza di Krishna.
Nonostante le emozioni più nere lo abbiano avvolto come anaconda, Arjuna cerca soccorso nella luce.
Si intuisce che per il figlio di Kunti il peggio è passato, lo stretto sentiero di luce è stato intravisto, ma non è ancora il momento di intonare il peana. Il discepolo alterna momenti di sconforto in cui tutto sembra perduto, ad altri dove si innalza sulle vette più fresche. Di fronte ai baratri della coscienza, le paure prendono le sembianze del nemico più insidioso ed ogni passo in avanti verso la libertà comporta fatiche al limite delle possibilità.

“Davvero non vedo nulla che possa allontanare da me l’angoscia che offusca i miei sensi, neppure se avessi su questa terra un regno senza rivali o il dominio sugli dei.(BG II,8)

Arjuna, dopo aver affermato di voler prendere rifugio nel Maestro, fa un passo indietro e si nasconde all’ombra dell’autocommiserazione. Si accontenta del buio perché la luce è ancora troppo forte per i suoi occhi. Così nel rinnegare se stesso adora l’oscurità.
Come usa fare il devoto che si reca al tempio, il figlio di Kunti si prostra ai piedi dell’angoscia e le porge i suoi doni.
Comunque ogni discepolo è stanco di assistere alla liturgia del sé inferiore, aspira ad altro.

L’io, che mantiene lo scettro attraverso l’inganno e la distruttività, nel discepolo vive asserragliato nella tragedia.

La personalità percepisce l’anima come minacciosa e cerca di difendersi in ogni modo ingigantendo i problemi.

Il sé inferiore per continuare a piegare la coscienza ai suoi voleri aumenta la proiezione dei demoni interiori e così per l’aspirante allo yoga il mondo diviene un luogo inospitale da cui rifuggire.

Nonostante il bene venga cercato con convinzione, ci vuole del tempo per decentrarsi da se stessi.
Una percezione che aderisce alla superficie delle cose, non conosce il fuoco che la alimenta. Per cui, se la vista si sofferma sul fumo prodotto dalla fiamma, la visione ne risulta offuscata.

Arjuna, in preda agli incantesimi del male, nel lamentarsi della sua condizione apre il fianco alle lance velenose del dubbio e finisce per tenere stretto, come se fosse un tesoro, il dramma.
Quando il discepolo contatta il male interiore viene tentato, così per risonanza si può identificare con la distruttività e perdere di vista la luce che lo alimenta. Ma il male non ha fatto i conti con la Vita. La percezione della sofferenza apre la strada al riconoscimento della realtà delle cose. Tutto si chiarirà al debito momento, l’anima è al lavoro, inesorabile, per garantire il trionfo della libertà.
* * *
Luca Tomberli
Luca Tomberli

Luca Tomberli nasce nel 1969 a Firenze. Negli anni Novanta, spinto dalla percezione della sofferenza, dopo aver sperimentato alcune tradizioni buddiste, varie discipline olistiche e degli approcci psicologici, inizia a praticare il Raja Yoga, l'antica scienza dell'essere improntata alla conoscenza del sé più profondo. L’incontro con Massimo Rodolfi segnerà in maniera inequivocabile il suo percorso. Fino a quel momento, il bisogno d’integrazione della spiritualità nel quotidiano, sembrava destinato a non essere soddisfatto del tutto. Nonostante avesse frequentato diversi gruppi legati in vario modo alla consapevolezza, non aveva ancora percepito quel senso di unità e appartenenza alla Tradizione che andava cercando e che invece gli viene rivelato dagli insegnamenti di Massimo Rodolfi. Nel 1999 dopo aver frequentato Energheia, la prima scuola di formazione per terapeuti esoterici, e soprattutto avendo sperimentato il cambiamento positivo della propria vita sente l’esigenza di diffondere quegli strumenti utili per comprendere meglio se stessi. Così inizia ad insegnare materie esoteriche per l’associazione Atman . Nel 2006 insieme ad altri compagni di viaggio contribuisce a fondare sette sedi della scuola Energheia che vanno ad aggiungersi alla preesistente sede nazionale. Attualmente, sempre più desideroso di praticare l’innocuità creando insieme ad altri, presta la sua attività nell’ufficio stampa del portale YogaVitaeSalute, scrive per la rivista esoterica il Discepolo e per YogaVitaeSalute, insegna per la scuola Energheia nelle sedi di Milano e Roma ed organizza corsi di meditazione e di Raja yoga in Toscana.

lunedì 19 gennaio 2015

La Risorsa ARIA

Sappiamo che l'atmosfera è una sfera fondamentale per la vita del nostro pianeta. La sua composizione chimica assume un ruolo fondamentale nelle interazioni con il Sole ed è importantissima nella regolazione del clima. Tale composizione varia con l'altitudine, ed in funzione della presenza di zone più o meno antropizzate. Soprattutto l'anidride carbonica forma una sorta di sistema coibentante di gas che mantiene la terra calda rispetto a valori medi costanti. Questa funzione, simile a quella operata da una serra (da cui il termine di “effetto serra”) è di notevole importanza nell’equilibrio del sistema climatologico mondiale e quindi degli equilibri ecosistemici.

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L’ecosistema rappresenta quel motore ambientale che ricopre un ruolo determinante nella produzione gassosa e soprattutto nella qualità della stessa. L’influenza dell’ecosistema sull’equilibrio atmosferico ha determinato nelle epoche della terra notevoli cambiamenti a tal punto da rappresentare uno dei fondamentali fattori della qualità dello stesso.

Negli ultimi tempi una delle componenti dell’ecosistema, e cioè l’umanità, con tutte le sue funzioni termodinamiche è entrata prepotentemente (o meglio, in maniera tangibile) nella funzione degli equilibri atmosferici, a tal punto (soprattutto negli ultimi 50 anni) da rappresentare una questione di interesse planetario considerevole. 
  Tale questione ha prodotto due fattori di notevole interesse sociologico e politico: 

1. Per la prima volta, nella storia dell’umanità, si è ingenerato un interesse planetario comune sulla necessità di risolvere globalmente la delicata funzione dell’incidenza delle attività umane sull’ambiente. La conferenza di Kyoto rappresenta il primo concreto tentativo di politica transnazionale sui modelli di sviluppo antropici compatibili con le necessità ecosistemiche ed ambientali; è in pratica un protocollo di regimentazione dei principi sullo Sviluppo Sostenibile sanciti dalle Nazioni Unite nel 1987.

2. La questione ambientale è divenuta luogo di agorà internazionale, richiedendo sempre più una visione delle cose che superi il limite territoriale e socioculturale dei singoli paesi. Così la delicata questione delle risorse ecosistemiche (tra cui soprattutto le foreste e le attività agroambientali) dovrà necessariamente trovare un minimo comune multiplo senza il quale anche la più lungimirante delle politiche di un singolo stato non potrà raggiungere gli obiettivi prefissati. A quest’ultima questione è legata ovviamente una sensibilità scientifica e politica nuova. Si tratterà sempre più di trovare soluzione di sviluppo socioeconomico non contrastanti (anzi in linea) con le delicate regole dell’ecosistema. 

Questo perché IL SISTEMA ECOLOGICO, nel suo insieme perfettamente integrato, minimizza i rifiuti.
Nulla o quasi nulla di ciò che viene prodotto da un organismo va sprecato: ogni minima scoria costituisce per un altro organismo una fonte di materiale utilizzabile o di energia.
Vivi o morti, tutti gli animali e le piante e i loro prodotti di rifiuto costituiscono cibo per un altro organismo vivente.
I microrganismi consumano e decompongono i rifiuti dopodiché, a loro volta, diventano nutrimento per altri organismi più grandi e così via lungo la catena alimentare. Ma non hanno lo stesso effetto i rifiuti degli umani che consentono uno stato di degrado e abbandono in cui versano molti dei nostri boschi deturpati, oltre che dai rifiuti, da tagli indiscriminati, incendi e atti di puro vandalismo, per non parlare dei diversi progetti di "valorizzazione turistica" o “urbanistica”che rischiano di cancellare il verde sotto una coltre di cemento. Per tale motivo la conoscenza delle regole dell’ecosistema e le regole di base per poterlo salvaguardare o addirittura promuoverlo rappresentano la nuova frontiera su cui ogni azione deve confrontarsi anche se non esplicitamente legata. Si tratta di una evoluzione dell’idea politica di gestione del mondo. Da quella dello sfruttamento delle risorse (di qualunque natura) a quella del mantenimento delle stesse (con regole di utilizzo simili agli equilibri ecosistemici). 

L’opinione pubblica si è molto interessata a questioni come la tutela dei grandi polmoni d’ossigeno del mondo (la foresta amazzonica in primo luogo) trascurando come al solito, perché fa meno notizia, il fatto che nel futuro prossimo venturo la gestione delle risorse e la sua tutela vedrà l’uomo stesso quale artefice e pianificatore. Intendiamo dire che la tutela del patrimonio mondiale non passa solo dalla protezione delle grandi aree verdi del pianeta ma anche e soprattutto, in un’ottica di gestione delle risorse del futuro, dalla pianificazione e promozione della superficie terrestre verso una nuova ridistribuzione del “verde”. Il concetto di “verde” si riferisce ovviamente non solo alle superfici boschive, di cui ogni paese si dovrà fare promotore della tutela di una quota parte, ma anche delle produzioni agrarie e agroambientali. 

Noi crediamo che sia più importante trovare urgentemente le regole che evitino la deforestazione che scandalizzarci perché questa avvenga. 

Questo è un modo di fare ambientalismo più corretto. 

Non possiamo dire ai piccoli o grandi distruttori del verde: fermatevi, se poi non ci siamo sforzati di trovare un modo “alternativo” per farli fermare. Il primo modo è sicuramente più da opinione pubblica (ma non inutile), il secondo modo è più complesso e richiede una cultura scientifica e sociopolitica più “sofisticata” ma molto più coscienziosa. Su questo aspetto vale la pena soffermarci un po’ di più. 

La questione è che proprio i paesi in via di sviluppo sono quelli che utilizzano di più il patrimonio ambientale (tra cui le foreste per la produzione di legname) per poter competere con gli stati più ricchi e tecnologicamente più avanzati. È l’unico modo che hanno per poter diminuire il loro deficit economico con questi. 

Ora da un lato ci scandalizziamo perché questi paesi deforestano e deturpano ma siamo proprio noi (paesi ricchi) a non attuare alcuna politica che tenda a rimuovere le cause di questa malformazione socioeconomica. Per questo abbiamo bisogno di grandi politiche internazionali, non di solo livello finanziario; abbiamo visto che nel mondo globale l’attuazione della Politica basata solo sulla finanza provoca distorsioni ed ingiustizie sociali sempre più macroscopiche.

Sembrerà fuori tema una disquisizione del genere sulla questione della Risorsa Aria, ma dobbiamo imparare a valutare le cose in maniera meno settoriale se vogliamo veramente comprendere e saper affrontare globalmente i problemi del futuro p.v.
Guido Bissanti

giovedì 15 gennaio 2015

Fuori dai ritmi della Natura


Quando una nave perde la sua rotta è possibile che qualunque brezza di vento e corrente venga accolta come ancora di salvezza.
Ma non vale a nulla sperare in venti, brezze o correnti se qualcuno non ti indica le coordinate che ti eri prefisse.
Oggi possiamo paragonare questa nave all’intera umanità, soprattutto quella dei Paesi più industrializzati, e le correnti, le brezze ed i venti come le opinioni, le idee ed i modi di pensare.
Nel panorama di queste idee, opinioni, ecc. oggi si sta combattendo una guerra nuova, non convenzionale e non molto chiara e leggibile da parte dell’Uomo.
Questa guerra si combatte (oltre che nei fronti reali e sanguinosi) sui campi della diffusione di modelli di sviluppo e sociali che, se non arginati e sconfitti, potrebbero portare l’intera umanità ad un sistema di degrado e di caos senza precedenti.
Questi modelli di uno pseudo sviluppo economico e sociale non hanno, per la prima volta nella storia dell’Uomo, le Religioni o la Filosofia, ma grandi imperi economici detenuti da società multinazionali.
Tra queste emergono soprattutto due configurazioni: quelle bancarie e quelle per la detenzione delle risorse agroalimentari ed energetiche.
In questo articolo mi soffermerò sulle Multinazionali che detengono oggi il controllo quasi incontrastato (soprattutto dalla Politica) dei fattori delle produzioni agroalimentari.
Il loro interesse è quello di sostituire ai modelli “produttivi” della natura una nuova “filosofia” redditizia.


Questa nuova filosofia è fatta da:
• Brevetti e commercializzazione del DNA, delle specie vegetali ed animali, OGM, sistemi di qualità, procedure standardizzate, ecc.;
• Brevetti e commercializzazione dei Pesticidi (o fitofarmaci), fertilizzanti e regolatori chimici dei processi agricoli;
• Detenzione dei sistemi di Informazione convenzionali sempre più soggiogati ed al servizio di questi.


La filosofia schietta di questi potentati è: Incremento dei Ritmi produttivi per un nuovo ordine ambientale e mondiale.


Come scritto in altri articoli e pubblicazioni la questione è molto più grave e pericolosa di quanto si possa supporre; si vuole sostituire il modello (o se preferite la macchina, il motore, il meccanismo, ecc.) naturale con quello di una cultura riduzionista* che tende a semplificare, in maniera scriteriata, l’ordine, le regole e i modelli di funzionamento del nostro Pianeta, in cui noi siamo parte integrante materiale e spirituale.
Nella mia pubblicazione “Dalla materia al Padre” edito da Mario Grispo Editore – Palermo nel 2003, ho sottolineato come l’inquinamento materiale e spirituale non siano altro che cose collegate e relazionate e che tale inquinamento nasce dal cattivo funzionamento di questa macchina naturale sempre più manomessa da “Progettisti ignoranti e/o interessati”.
Quando osserviamo un’auto che emette eccessivi fumi di scarico diciamo che il motore di quell’auto funziona male. Allo stesso modo un Ecosistema (in cui l’uomo è parte integrante) che viene manomesso perde la sua originaria funzionalità, rendendo di meno ed emettendo più “fumi di scarico”.
Nel settore agricolo, questa manomissione è già di per se umana, ma le cosiddette Buone Pratiche Agricole (figlie di millenaria storia e tradizione), possono mitigare notevolmente le manomissioni rendendo l’ecosistema agricolo molto simile all’Ecosistema Naturale da cui è stato ricavato e sottratto.
Ecosistema che è la risultante e la sommatoria di milioni di processi chimici, biochimici, fisici, relazioni, funzioni, scambi, interrelazioni, ecc. ed in cui il raggiungimento dell’equilibrio si ha con un particolare ritmo (Bioritmi) e ad un particolare livello energetico, che è, per quella determinata cellula territoriale, l’optimum (quel Climax che in ecologia è lo stadio finale del processo evolutivo di un ecosistema che denota il massimo grado di equilibrio).
In tale contesto il soccorso a modelli alternativi, forzature, aumenti indiscriminati della produttività, specie non presenti o non idonee, regolatori di crescita, fertilizzanti e pesticidi vari è quanto di più scorretto ed erroneo, scientificamente e tecnicamente, nei riguardi di un Sistema che ha le sue regole ed i suoi ritmi. Per chi si intende di motori a combustione interna, avrà sentito parlare della coppia**, nella quale, oltre un determinato regime (o numero di giri), il rendimento decresce a discapito anche della buona funzionalità del motore; come nel motore a scoppio l’aumento dei “giri” dei sistemi agricoli genera perdite di potenza, malfunzionamenti, inquinamenti e cattive qualità.
Tali caratteristiche, generano nell’Uomo che si alimenta dei nuovi alimenti, così “caratterizzati”, aritmie biologiche e spirituali, conducendolo verso modelli sociali inquinati (il famoso detto: Noi siamo ciò che mangiamo, ha più valore biologico e spirituale di quello che possiamo credere) e conducendo pertanto l’umanità ad una pericolosa deriva. Non mi pare nemmeno opportuno sottolineare oltre, in questo contributo, l’effetto dei pesticidi e di questi metodi “alternativi” sulla salute umana ed ecologica.
Il titolo di questo articolo: L’Industria della Morte - Fuori dai Ritmi della Natura, ci fa comprendere come l’unico brevetto che oggi possiamo amare e sostenere, quello della natura, ed in cui l’uomo è veramente libero, si vuole sostituire con brevetti artati, controllati, dominanti e nemici dell’Uomo e del Pianeta che abita.
Chiunque vuole creare e detenere diritti che appartengono all’Umanità (come l’aria o l’acqua) arrogandosi modelli alternativi va catalogato come atto di reato e le azioni derivanti da questi quali crimini contro l’Umanità.
Se non aggiorniamo il Diritto Umano rischiamo di far passare come benefattori proprio coloro che stanno uccidendo l’Uomo, attraverso una guerra così raffinata da non farsi riconoscere.
E per aggiornare il Diritto Umano dobbiamo librarci verso livelli superiori della Coscienza, gli unici che ci permettano di vincere questa guerra.
Guido Bissanti

* In epistemologia il termine riduzionismo rispetto a qualsiasi scienza sostiene che gli enti, le metodologie o i concetti di tale scienza debbano essere ridotti al minimo sufficiente a spiegare i fatti della teoria in questione. In questo senso il riduzionismo può essere inteso come un'applicazione del cosiddetto "rasoio di Occam" (o "principio di economia"), secondo cui non bisogna aumentare senza necessità le entità coinvolte nella spiegazione di un fenomeno.

** La coppia motrice è il momento meccanico applicato dal motore a una trasmissione. Essa varia al cambiare del regime di rotazione del motore con un andamento dipendente dal tipo di motore; ha un valore massimo in corrispondenza di un determinato regime.

pubblicato il 03/01/2015 su http://www.antropocene.it/ambiente.html

lunedì 5 gennaio 2015

Ciao Pino. Grazie!


ue' Pinuccio! Sei stato la colonna sonora di una parte importante della mia vita. E fra noi c'era feeling (ne ho avuto la conferma anche dopo aver partecipato all'ennesimo concerto -non me li perdevo quando mi era possibile esserci!- ma non solo per questo). Incontrai uno dei tuoi collaboratori (sinceramente non ricordo chi fosse ma ti era molto vicino) durante una cena dal "sor Augusto" a Trastevere. Mi riconobbe e fu lui ad avvicinarsi e a dirmi: "tu c'eri... sei stata la prima ad alzarti e a partecipare attivamente". 
Me lo ricordo ancora questo episodio nonostante siano passati 30 anni... e ancora oggi non mi capacito del fatto che in mezzo a tanta gente, di sera, semi-buio, dopo un bel po' di giorni trascorsi dal concerto si era ricordato di me... Si, eravamo tutti seduti, quasi in contemplazione, ascoltando la tua musica, ma poi ad un certo punto è scattato un qualcosa in myself che mi ha spinto ad alzarmi e ad avvicinarmi al palco... 


Questa canzone invece mi ha aiutata in un momento davvero particolare e doloroso (la partenza di sister Mary), ed è per questo che la posto qui, prima dell'articolo de "il mattino" di Napoli. 

Ciao guaglio'! Grazie. E mo... nun te scurdà ...salutame a sorema!

Sara'
Voglio vedè' a Maria
ccà s'è fermato Dio e po'
un altro mondo cresce in fretta
e cambierà
io sto tornando meno male
non ci volevo stare più
Parlate cu Maria
'sta terra è 'na pazziae po'
'o core nun se venne
e c'è chi capirà
e tutti imparano a spiegare
qualcosa che rimane

Sarà
un'altra strada che ci sarà
e forse arriveremo in tempo
Sarà
tutto in un momento

Puorteme 'nterra 'a rena
addò nun ce sta pere e po'
sputa 'nfaccia a chi te sfotte
e nun te dà
non si può vivere e guardare
qualcosa che fa male

Sarà
un'saltra strada che ci sarà
e forse arriveremo in tempo
Sarà
Tutto in un momento... 


 

E' morto Pino Paniele: il mondo della musica è sotto choc. Il cantante napoletano stroncato da un infarto. Colpito da malore nella sua casa in Toscana, avrebbe compiuto 60 anni il 19 marzo. Sui social network messaggi di addio di altri artisti: Eros Ramazzotti, Clementino, Negramaro, Fiorella Mannoia, Laura Pausini e Tiromancino.
PER APPROFONDIRE: pino daniele
di Federico Vacalebre
   
VIDEO - PINO DANIELE CANTA NAPULE È
Napule è attonita, silenziosa, si sveglia di notte: telefonini, radio, televisioni rilanciano la notizia, sperando di aver preso un granchio. È morto Pino Daniele. Napule è il silenzio della ricerca febbrile della conferma. Ma è vero? Il cellulare del musicista suona senza che nessuno risponda, quello dei suoi familiari e collaboratori pure. Poi la notizia drammatica trova conferma nelle parole sconvolte del figlio Alessandro, della figlia Sara, del manager Ferdinando Salzano, che era stato fino a ieri con lui sulle nevi di Courmayeur, dove il Nero a metà che non c'è più si era esibito per l'ultima volta, in diretta su Raiuno nella notte di Capodanno.
Il bluesman era a Magliano, in Toscana, suo buon retiro, con la figlia Cristina, in famiglia. Ha avuto un infarto nella notte, inutile la corsa all'ospedale più vicino. Brutto anno, orrendo, quello che si apre così, era successo con Gaber e con De André, Napoli perplessa e attonita al nunzio sta.
Il cantautore che l'ha saputa cantare e incantare come nessuno mai prima, se n'è andato nella notte tra il 4 e 5 gennaio, tradito dal suo cuore matto: era il suo punto debole, «'O saie comme fa 'o core», aveva scritto con l'amico Massimo Troisi, con cui divideva la malattia cardiaca, ora il destino. Era felice Pino nei giorni scorsi, il tour di «Nero a metà» - l'abbiamo salutato, è difficile scrivere «per l'ultima volta», al Palapartenope, il 16 e 17 dicembre scorso, con la superband e i lazzari felici che si erano uniti a lui - gli aveva suggerito progetti, come un festival del mediterraneo, nella sua città, ponte ideale verso mille mondi di «mille culure». Non li vedremo mai quei progetti, non li compirà mai quei sessant'anni che si preparava già a festeggiare il 19 marzo.
Non lo vedremo più, continueremo ad ascoltarlo, nelle prossime ore come una mantra che non avremmo mai voluto incontrare sulla nostra strada, quello dell'assenza che è un assedio. Il profluvio di messaggi nella notte, notte nera, funesta, di cattivi pensieri, dice quanto e come lo portassimo dentro tutti quel ragazzo del centro storico, cresciuto con le zie perché i genitori non ce la facevano a sfamare tante bocche, quell'americano di una Napoli che voleva cambiare, che sognava di essere Elvis Presley, Bob Dylan, Eric Clapton. Il suo primo gruppo si chiamò Batracomiomachia, poi nel '75 Daniele incontrò il nero a metà originale, Mario Musella, voce degli Showmen, prestando la sua chitarra a un brano rimasto inedito fino al 2012. Poi impugnò il basso in tour con Bobby Solo e un giorno si presentò a James Senese, nero fuori, napoletano verace, ormai ex Showmen e alla testa dei Napoli Centrale: «Ciao, sono Giuseppe Daniele, mi piace la musica che fai, te vulesse incuntra'». I due si incontrarono, divennero «brothers in soul», inseparabili, veracissimi, americanissimi.
continua a leggere qui: http://www.ilmattino.it/SPETTACOLI/MUSICA/morto-pino-daniele/notizie/1101159.shtml

Ciao uaglio'. Continuerai ad esserci e ad essere attraverso la tua "musica musica (è tutto quel che ho)" quello che per me sei sempre stato: la colonna sonora della mia adolescenza e maturità. C'era feeling, sì, e se c'era prima sono certa che ci sarà anche dopo questa tuo ritorno a casa. Azz! che sorpresa che ho trovato stamattina.
Vabbuo' ja ... nu fa nient'... facimmece nu blues! (frase tua, durante un concerto ^_^)
Fai buon viaggio e quando vedrai a sorema scommetto che la canterete insieme questa canzone che prima cantavano noi a squarciagola:
www.youtube.com/watch?v=aZHmWnC-Tb0
oi nè comm è bello a sta cu' te...


e ora (6.1.2015) condivido l'annuncio del sindaco Luigi de Magistris che, devo dire, ha scelto una foto giusta per ricordare anche Massimo (entrambi avevano gli stessi notevoli problemi di cuore, eppure... sono riusciti a scippare i nostri di cuori con le manifestazioni artistiche delle loro anime belle)


Siamo felici che la famiglia di Pino Daniele abbia accettato la nostra disponibilità ad ospitare per l'ultimo saluto le ceneri di Pino e rendergli così il doveroso e solenne omaggio della città. Tutta Napoli, ne sono certo, verrà a salutare nei prossimi giorni al Maschio Angioino il suo Pino, il nostro nero a metà.
Poi studieremo con la famiglia, con gli amici e con i napoletani come rendere ancora più lungo e caloroso l'abbraccio di Napoli, e non solo, a chi ha rappresentato la colonna sonora di milioni di vite.


https://www.youtube.com/watch?v=AQWpKeVOxj0

domenica 4 gennaio 2015

Giorgio Dibitonto e NovaConvivia


movimenti dei dischi volantiNovaConvivia
Contatti tramite il sito Internet www.angeliinastronave.it


Nel 1980, a Genova, Giorgio Dibitonto (nato il 21 marzo 1945 a Toscolano Maderno, in provincia di Brescia) vede un oggetto spaziale sospeso nell’aria a qualche decina di metri di altezza. Di lì gli parla un personaggio che si rivela come l’arcangelo Raffaele della Bibbia. “Non è la prima volta – afferma Raffaele che incontriamo gli uomini della Terra in questo modo. Da sempre parliamo alla vostra umanità dai nostri mezzi spaziali, dai dischi e dalle astronavi. Nelle Scritture si legge che il Signore parlava all’uomo della Terra dalla nube: è quanto ora accade a te per la prima volta e quanto fu dato di sperimentare ai vostri padri di ogni epoca”.
Dibitonto comprende che gli extraterrestri, i Fratelli dello Spazio, sono le stesse creature chiamate angeli nella Bibbia: i messaggeri di Dio presso l’umanità che si rivelano nel corso della storia in forme diverse. In successive apparizioni altri angeli – tra cui Orthon, Firkon, Kalna – si rivelano a Dibitonto e ad alcuni suoi amici, alcuni dei quali – come George Adamski (1891-1965), di cui il gruppo genovese si ritiene un continuatore – sono accolti a bordo dei dischi volanti. Ne nasce Angeli in Astronave, pubblicato per la prima volta nel 1983 con prefazione del già citato Eufemio Del Buono (e presentato pubblicamente, fra gli altri, dal demonologo monsignor Corrado Balducci (1923-2008), noto per il suo interesse per gli extraterrestri), giunto nel 2002 alla quattordicesima edizione, tradotto anche in tedesco e salutato come una delle opere più influenti nella storia del contattismo.
Quello di Dibitonto è peraltro un “contattismo spirituale”: gli angeli-Fratelli dello Spazio si rivelano per annunciare che siamo alla vigilia dei grandi cambiamenti annunciati nell’Apocalisse. Nel 2002 Giorgio Dibitonto ha affermato che “ormai il cambiamento è in atto, è alla sua fine” e “culminerà con il ritorno del Cristo sulle nubi del cielo”. “Cristo verrà con tutta la fratellanza universale che è nell’amore, a fare nuove tutte le cose”. In questo senso i messaggi angelici sono della stessa natura di quelli delle apparizioni mariane, da La Salette a Fatima. Dibitonto attira l’attenzione sul terzo segreto di Fatima, che – come quello di La Salette a suo tempo – nel 2000 sarebbe stato pubblicato dalla Santa Sede con una interpretazione corretta, ma parziale.
La Terra si è separata dall’Amore di Dio e vi deve ritornare per riprendere il suo posto fra i pianeti. Dal 1980 Dibitonto tiene centinaia di incontri, conferenze e seminari, non solo in Italia. Fra le persone impegnate a diffondere il messaggio di Angeli in Astronave nasce una Missione di Amore Universale, ma il nome è in seguito abbandonato anche perché simile ad altri che identificano realtà di natura del tutto diversa. Nel 1995 inizia le pubblicazioni la rivista NovaConvivia, nome con cui è ora noto il complesso di attività che ruotano intorno a Giorgio Dibitonto e ai suoi collaboratori.
NovaConvivia non è un’associazione né un movimento religioso, quanto, piuttosto, una spontanea “unione di preghiera” che unisce quanti si mettono all’ascolto dei messaggi degli “angeli in astronave”, si considerano uniti spiritualmente a loro e operano, secondo le loro indicazioni, per ricondurre la Terra all’Amore di Dio. La rivista NovaConvivia cessa la sua pubblicazione nel 2002 per essere sostituita dal sito omonimo, che da allora diventa il mezzo principale di diffusione, fino alla sua chiusura – nel 2003 – che coincide con la chiusura anche della mailing list precedentemente utilizzata per inviare giornalmente agli abbonati un messaggio angelico. Nel 2009 nasce il sito ‒ che porta il nome del libro di Giorgio Dibitonto, Angeli in astronave ‒ dedicato interamente a divulgare il pensiero dell’autore in relazione al messaggio biblico. Nel sito si parla di contattismo spirituale e della rivelazione, ricevuta da Giorgio Dibitonto e alcuni suoi amici, della “Seconda Venuta di Gesù sulle nubi del cielo”. Nel libro di Dibitonto “le nubi del cielo sono le astronavi celesti della gloria cosmica del Signore con le quali gli Angeli Extraterrestri si muovono nel nostro universo materiale”.
B.: Giorgio Dibitonto, Angeli in Astronave, Mediterranee, Roma 1983 (200214). Si veda anche la collezione della rivista NovaConvivia (1995-2002).