giovedì 28 febbraio 2013

ASSEFA, Il microcredito in India

Con l'iniziale assistenza degli operatori ASSEFA gli abitanti del villaggio individuano delle priorità,  e queste vengono finanziate con microcrediti

Foto ASSEFA, il microcredito in India
Incontriamo la Presidente di ASSEFA-GENOVA, Avv. Itala Ricaldone, per parlare dell’esperienza di ASSEFA in India nel campo del microcredito e dello sviluppo delle comunità rurali locali nel solco del messaggio di Gandhi in occasione dei 40 anni dell’Associazione.

ASSEFA è nata alla fine degli anni '60 dall’idea di un italiano, il Prof. Giovanni Ermiglia di Sanremo. Ci può raccontare brevemente cosa successe?
ASSEFA è nata su un terreno già “arato” dal discepolo di Gandhi Vinoba Bhave, che aveva avuto l’idea di chiedere ai proprietari terrieri il dono di qualche appezzamento di terra per aiutare i contadini nullatenenti. Vinoba riuscì a mettere insieme 4.200.000 acri di terreno (quanto la superficie della Regione Veneto). I contadini assegnatari dei lotti boodhan (terra-dono) risultarono, però, essere troppo poveri per coltivare quei terreni incolti per anni prima di arrivare ad un ipotetico raccolto. Nel 1968, ormai già vicino alla pensione, Giovanni Ermiglia ebbe l’idea di offrire ad un piccolo gruppo di assegnatari di Sevalur (Tamil Nadu) una somma sufficiente per liberarsi dal debito, che li teneva quasi schiavi del latifondista, e per avere il tempo e il modo di lavorare il terreno loro assegnato fino ad arrivare al raccolto. Si trattava di un microcredito, quando nessuno ne parlava ancora. L’idea più feconda fu quella di chiedere la restituzione del prestito non a proprio favore, ma a favore di altri assegnatari, dando così vita ad una spirale di sviluppo che ha continuato ad allargarsi. Non fu facile: i contadini assegnatari risposero “No: quel terreno non renderà mai nulla!” e solo dopo parecchia insistenza, per pietà verso quel signore che voleva aiutarli e veniva da lontano, si decisero ad accettare.

Come si è sviluppata in questi 40 anni e quali sono le attività di ASSEFA oggi in India?
L’idea di Giovanni non avrebbe avuto lo sviluppo attuale se non vi si fosse impegnato un giovane universitario di Madurai, Loganathan, che coinvolse altri giovani gandhiani per suggerire ai contadini i metodi migliori per coltivare quei terreni. Nel giro di due anni l’area era verdissima ed Ermiglia, tornato carico di dubbi a vedere che cosa fosse successo, rimase letteralmente “a bocca aperta”, come amava ricordare. L’esperimento era riuscito e poteva quindi essere replicato, per cui si cominciò subito a lavorare per aiutare altri assegnatari. Contemporaneamente, però, Giovanni e gli indiani, che si erano impegnati, sperimentavano e progettavano. ASSEFA non è un progetto nato a tavolino, è esperienza vissuta, lavoro e intelligenza. È attuazione delle idee di Gandhi per creare comunità. Comunità di contadini che lavorano insieme i terreni, poi comunità della gente di villaggi, apatica e diffidente: all’inizio occorrevano circa tre anni per riuscire a formare una riunione degli abitanti di poverissimi villaggi o gruppi di capanne. Poi con la presenza nello staff di una donna, Vasantha, nel 1978 è partito il progetto educativo per i bambini. Anche per loro la priorità era ed è formare comunità di scuola, perché imparino subito responsabilità, democrazia e nonviolenza. Ora è più veloce l’inserimento di nuovi villaggi, perché sono questi a chiedere di partecipare, vedendo la riuscita dei loro vicini. Così, al marzo 2008, i villaggi ASSEFA erano 9.766. Ora certamente hanno superato i 10.000. Vale la pena ricordare che l’attenzione dei dirigenti è olistica, vale a dire che tutte le esigenze primarie delle famiglie vengono prese in considerazione: l’agricoltura, l’artigianato, l’educazione, il commercio, la promozione delle donne, la sanità, l’ambiente, il rispetto delle religioni, la nonviolenza… Tutto è portato avanti con mezzi poverissimi, pensato, sperimentato e documentato. La tecnologia è inserita soltanto laddove allarga le possibilità di lavoro e di comunicazione e non crea dipendenza. Per esempio un trattore darebbe lavoro ad un contadino e centinaia di altri resterebbero disoccupati, per non parlare del costo dei pezzi di ricambio, mentre una pompa, che tragga l’acqua da un pozzo, dà possibilità di bonificare terreni che sarebbero aridi o semiaridi, da cui invece molti contadini possono trarre sostentamento. Gli impianti di lavorazione del latte rendono possibile il progetto caseario (di cui fa parte quello che intendiamo sostenere per la produzione del burro a Uchapatty) per migliaia di donne.

Parliamo di microcredito come volano nello sviluppo delle zone rurali indiane. Ci può raccontare come funziona nella realtà locale?
Il microcredito è, si può dire, il motore delle varie linee di sviluppo. Con l’iniziale assistenza degli operatori ASSEFA gli abitanti del villaggio individuano delle priorità e queste vengono finanziate con microcrediti. A mano a mano che questi vengono restituiti, c’è la possibilità di ampliare i progetti. L’ambito, però, in cui il microcredito trova la sua maggiore efficacia, è quello della promozione di genere. Le donne, che sono considerate una disgrazia quando nascono, perché saranno motivo di impoverimento della famiglia per via dell’usanza della dote, si sono rivelate capaci e affidabili, più degli uomini. Formare gruppi di donne, abituate all’isolamento e all’emarginazione, è stato un lungo lavoro. Inizialmente è stato un modo per poter parlare di fondamentali principi di igiene e di puericultura, ma poi è stato appunto sperimentato il microcredito al gruppo. Il che richiede un notevole progresso culturale, perché tutto deve essere registrato: riunioni, risparmi, prestiti, restituzioni. Per le donne è stata creata una filiera finanziaria mediante la quale sono diventate azioniste di una banca, la Sarvodaya Nano Finance Limited (SNF). Nel Convegno di otto giorni in occasione dei 40 anni di ASSEFA, che si è tenuto a Madurai nello scorso settembre, il Direttore organizzativo della SNF ha parlato di 73.000 gruppi di auto-aiuto, Self Help Groups, prevalentemente femminili.

La visione gandhiana del villaggio autosufficiente e dei suoi abitanti, Cittadini rispettosi della Natura e della Democrazia, può essere rivisitata e utilizzata oggi in un momento nel quale bisogna reinventare le regole economiche e sociali, a seguito della crisi mondiale che stiamo tutti vivendo?
Forse il villaggio non può più essere autosufficiente come era prima della colonizzazione inglese, ma l’integrazione tra villaggi, riuniti a centinaia a livello di Block, permette lo scambio tra vicini, col massimo ricavo e la minima spesa. ASSEFA ha creato per questo anche appositi mercati. Questa integrazione permette, inoltre, di evitare le monocolture con i rischi connessi e mantiene la diversificazione dei prodotti, rispettando così la varietà dei semi. Sono valori che stiamo scoprendo oggi con la crisi della globalizzazione. Certamente sarebbe bello importare i principi che regolano lo sviluppo dei villaggi ASSEFA: assemblee in cui tutti cercano il bene comune, disposti a sacrificare qualcosa per raggiungere un consenso condiviso, senza minoranze. Penso che qui da noi sia un’utopia irrealizzabile in questi termini, ma qualcosa potrebbe essere fatto specie nelle scuole.

Per avere dei Cittadini rispettosi della Natura e della Democrazia la scuola deve assolvere al proprio ruolo di educatrice. Tra i progetti ASSEFA c'è anche quello scolastico: com'è nato e come si sta sviluppando?
Appunto nelle scuole, a partire dalle materne, si può impostare un’educazione sociale, prima che la diseducazione che offriamo ai ragazzi prenda piede. È, anzi, urgente insegnare loro a considerare la propria opinione migliorabile nel confronto con le opinioni degli altri e che la convivenza richiede un qualche sacrificio delle proprie aspettative. Oggi è, però, più facile che si possa far capire la necessità del rispetto per l’ambiente, dell’agricoltura ecologica e dell’amore per gli animali. Tutto questo è presente nelle scuole ASSEFA. L’avvio del programma educativo e la pedagogia è dovuta alla sensibilità ed all’intelligenza di Vasantha, che nel 1978 lo iniziò chiedendo ad una trentina di madri di bambini in età scolare di risparmiare una ciotola di riso per l’alimentazione della maestra, maestra che fu lei stessa per diversi mesi nello sperduto villaggio di Vadugapatty (Tamil Nadu). Da lì si è esteso un progetto educativo che ha visto la creazione di migliaia di scuole di ogni ordine e grado, esclusa solo l’università. Il sostegno a distanza, che migliaia di italiani tramite ASSEFA-ITALIA hanno attivato con la modesta somma di € 150 all’anno, serve soprattutto per l’istruzione primaria.

Una delle caratteristiche di ASSEFA Italia è quella di non imporre mai scelte preconcette, ma di seguire i bisogni dei destinatari degli aiuti di cui si fa carico. Ascoltare e collaborare: potrebbero essere le due parole chiave del lavoro di ASSEFA?
Ascoltare e collaborare certamente sono due parole chiave per ASSEFA-ITALIA, ma per ASSEFA in India occorre anche aggiungere: suggerire, prevedere, organizzare. Il tutto in spirito di servizio. L’acrostico ASSEFA deriva dalle parole: Association Sarva Seva Farms, dove le parole indiane Sarva Seva significano “al servizio di tutti”. Chi è stato a visitare i progetti, ha potuto ammirare la completa disponibilità di Loganathan e Vasantha, degli insegnanti che vivono nei villaggi e collaborano anche con la popolazione, degli autisti e dello staff in generale.

Spese ridotte al minimo e bilanci trasparenti: è questo il motivo della fiducia e fedeltà dei vostri associati ed occasionali benefattori?
Sì, riforme a costo zero: come quella sanitaria, basata sulla responsabilizzazione già a scuola dei bambini, i kutty doctors “piccoli dottori”; di operatori sanitari nei villaggi, che estendono e rendono efficace l’opera dei medici, i quali raramente sono a completo servizio, come lo è invece la D.ssa Rani, che da un piccolo presidio di scuola di medicina e pronto soccorso a Gingee ha esteso la competenza alla zona costiera, colpita dallo Tsunami del 2004 nello stato di Pondicherry. Relazioni annuali, dichiarazioni dei revisori dei conti, che in India sono responsabili in proprio delle loro verifiche, nostre visite ai bambini “adottati a distanza” e ai progetti finanziati sono tutte forme che sostengono la fiducia degli amici italiani. Raccomandiamo, appunto, ai nostri collaboratori di vivere questi rapporti come amicizia e non come beneficenza, perché se riflettiamo su quanto si riceve, in termini di amicizia, di ideali e di proposta, constatiamo che dovremmo essere noi riconoscenti. Non è raro che, chi va in India a vedere il lavoro che là si compie, esprima questa riconoscenza, dichiarando di aver ricevuto molto più di quanto ha dato.

Alda Benazzi

Nessun commento:

Posta un commento